Secolarizzati? Meno di quanto crediamo

La riflessione del vescovo Simone nella giornata dei defunti

 “Quando muore qualcuno che amiamo, la consolazione è impossibile.

Essa è al limite del linguaggio, al limite della storia, al limite delle umane possibilità.

Cicerone è il maestro della dottrina ufficiale a Roma sulla consolazione, lo stoicismo. Ma quando la figlia muore, lui si sente impotente. Pian piano si riprende e torna a essere Cicerone. Ma non grazie alla filosofia, bensì per il semplice, desiderio biologico, animale, di vivere. Questo ci insegna i limiti della filosofia e del linguaggio.”

Siamo tutti soli davanti al mistero.

Ritengo che “la distinzione tra un’era religiosa, secolare e post-secolare, mi sembra falsa. Tutto è più caotico, siamo frastornati. E tutto ciò non ci aiuta quando sperimentiamo il dolore, la perdita, il fallimento. Tutto si fa silente. In questo silenzio desideriamo qualcosa di vero. Ci si concentra, si vaglia il tempo come il grano. Si cerca consolazione in qualsiasi cosa: l’arte, la poesia, una canzone che la mamma ci cantava quando eravamo bambini. Una delle mie conclusioni è che siamo meno secolarizzati, meno post-cristiani, di quanto pensiamo. Lo si vede nei funerali, dove persone che non credono in Dio si sentono confortate dalle parole del Vangelo. Cosa accade, allora? Dunque, siamo di fronte a un mistero”.[1]

Queste parole dello storico canadese Storico Micheal Ignatieff ci invitano alla riflessione.

L’eterna lotta con l’Angelo

Ogni essere umano – ma, più in generale, ogni essere vivente – è in lotta.

È in lotta, prima di tutto, con un Avversario. Indomabile. Invincibile. Che in nessun modo si può sconfiggere: la morte. Di fronte alla quale, qualsiasi tentativo di resisterle risulta vano. Inutile. E tuttavia, nonostante questa ineludibile consapevolezza, non ci rassegniamo. E ci ostiniamo a combattere. A lottare. Perché vogliamo vivere. Continuare a vivere. E non vogliamo morire. Contro ogni evidenza. Contro ogni esperienza. Contro le inesorabili leggi della natura. Perfino l’uomo Gesù ha paura della morte. Certo, nessuno può razionalmente dimostrare che ciò che esiste ad un certo punto non esista più. Cioè muore.

Tutta l’opera del filosofo Emanuela Severino procede in questa – diciamo così –contro intuitiva direzione. Ripresa da Massimo Cacciari anche nel suo ultimo libro, Metafisica concreta (Adelphi). Sostenendo che non di morte si tratta, ma di semplice “scomparsa”. Gli essenti non muoiono – come facciamo logicamente a dimostrarlo? – ma scompaiono. Non sono più osservabili nel nostro limitato orizzonte di osservazione. Ipotesi da prendere filosoficamente – scientificamente – in seria considerazione.

Anche in questo caso, tuttavia, se non lottiamo per non morire, lottiamo comunque per non sparire. Per non fuoriuscire dall’orizzonte sensibile dell’osservabilità. Resta il fatto, tuttavia – al di là che si tratti di morte o di sparizione – che lottiamo. Perché la lotta – l’Avversità – caratterizza la nostra stessa vita, come ci spiega Roberto Esposito nel libro “I volti dell’Avversario. L’enigma della lotta con l’Angelo”. La biblica lotta di Giacobbe e l’angelo. Nel libro pone solo una domanda: non è forse vero che a unire Giacobbe e l’Altro chiunque egli sia – è la stessa Lotta? La stessa Avversità? Quella Lotta, quell’Avversità che caratterizza la nostra stessa esistenza? E che non contempla nessun vincitore e nessun vinto? Giacché – scrive Esposito – «se uno dei due vincesse, vorrebbe dire la fine della Lotta, e dunque della vita stessa che questa esprime». La Lotta con gli altri, con l’Altro o con noi stessi – precisa Esposito – non può avere fine giacché è la forma con cui si esprime la nostra stessa vita. La “missione” che Dio – o il destino – assegna non solo a Giacobbe ma a ciascuno di noi è quella «di liberarsi dall’ansia di un’impossibile vittoria, senza però darsi per vinti». Dobbiamo «cogliere e accettare il fatto che l’esistenza umana – conclude Esposito – è sempre in lotta, che la vita non potrà mai vincere la morte. Ma anche che la morte non potrà mai annientare la vita.

San Francesco angustiato e dolente, trova la forza di cantare la bellezza proprio dalla capacità di accettare la sofferenza; è la bellezza purificata dal Venerdì Santo che guarda alla Domenica di Risurrezione.

Altissimo, Onnipotente Buon Signore, tue sono le lodi, la gloria, l’onore e ogni benedizione.
A te solo, Altissimo, si addicono e nessun uomo è degno di menzionare il tuo nome.
Lodato sii, che tu sia lodato, o mio Signore, insieme a tutte le creature, specialmente il fratello sole, la luce del giorno, tu ci illumini tramite lui. Il sole è bello, radioso, e splendendo simboleggia la tua importanza, o Altissimo, Sommo Signore. 
Lodato sii o mio Signore, per sorella luna e le stelle: in cielo le hai create, lucenti, preziose e belle.
Lodato sii, o mio Signore, per fratello vento, per l’aria, per il cielo; quello nuvoloso e quello sereno, rendo grazie per ogni tempo tramite il quale mantieni in vita le tue creature.
Che tu sia lodato, mio Signore, per sorella acqua, la quale è tanto utile e umile, preziosa e pura.
Lodato sii mio Signore, per fratello fuoco, tramite il quale illumini la notte. Il fuoco è bello, giocondo, vigoroso e forte.
Lodato sii, mio Signore, per nostra sorella madre terra, la quale ci nutre e ci mantiene: produce frutti colorati, fiori ed erba.
Lodato sii, o mio Signore, per coloro che perdonano in nome del tuo amore e sopportano infermità e sofferenze.
Beati quelli che sopporteranno tutto questo con serenità, perché saranno ricompensati da te, o Altissimo.
Lodato sii mio Signore per la morte del corpo, dalla quale nessun essere umano può fuggire, guai a quelli che moriranno nel peccato mortale.
Beati quelli che troveranno la morte mentre stanno rispettando le tue volontà. La seconda morte, non farà loro alcun male.
Lodate e benedite il mio Signore, rendete grazie e servitelo con grande umiltà.


[1] Storico canadese Micheal Ignatieff