“Verso una nuova presenza”

A venti anni di distanza dall’istruzione “La Chiesa e Internet” e “Etica in Internet”, il 28 maggio 2023 giorno di Pentecoste, il Dicastero vaticano per la Comunicazione ha offerto una Riflessione pastorale sul coinvolgimento con i social media: “Verso una nuova presenza”. Quattro capitoli, 82 paragrafi. Non un punto di arrivo ma, onestamente, non lo è anche neanche di partenza: la tappa di un cammino che riconosce il “coinvolgimento fedele e creativo sui social media” di comunità e credenti e che spesso è risultato “più pervasivo della Chiesa istituzionale”. Una riflessione comune – firmata dal Prefetto Paolo Ruffini e dal Segretario padre Lucio Adrian Ruiz – “che ha coinvolto esperti, educatori, giovani e leader, laici, religiosi e clero” (cioè sacerdoti), sulle esperienze digitali per “incoraggiare un approccio creativo e costruttivo”.

Forse è la prima volta che, in un tale tipo di documento, si parla di “macro-influencer” (dove “la nostra responsabilità aumenta con l’aumento del numero dei follower”) ma anche di “micro-influencer”.

“Ogni cristiano – si legge – è un micro-influencer”. Un principio che vale per tutti, perché la riflessione si rivolge anche ai non credenti. Ed ecco un passaggio chiave (è un punto di vista, certo) perché sembra destare ciascuno di noi per guardare più in grande: oltre lo schermo dei nostri smartphone, computer oppure visori.

“Il social web non è scolpito nella pietra. Possiamo cambiarlo. Possiamo diventare protagonisti del cambiamento, immaginando nuovi modelli costruiti sulla fiducia, la trasparenza, l’uguaglianza e l’inclusione. Insieme possiamo sollecitare le aziende dei media a riconsiderare il loro ruolo e lasciare che Internet diventi davvero uno spazio pubblico. Gli spazi pubblici ben strutturati sono in grado di promuovere un comportamento social migliore. Dobbiamo quindi ricostruire gli spazi digitali in modo che diventino ambienti più umani e più sani”. Col contributo di tutti.

È la parabola del buon Samaritano l’esempio offerto. Sì, chiaramente è una immagine evangelica (quella di chi fascia le ferite dell’uomo percosso e se ne prende cura, di fronte all’indifferenza altrui) ma pensiamo all’esperienza di noi tutti, quando leggiamo: “percorriamo le ‘strade digitali’ al fianco di amici e di perfetti estranei, cercando di evitare le molte insidie lungo la via, e ci scopriamo consapevoli dei feriti sul ciglio della strada. A volte questi feriti possono essere gli altri. Altre volte questi feriti possiamo essere noi”.

Una “cultura della prossimità” a partire dalla domanda: “che tipo di umanità si riflette nella nostra presenza?”. Vengono riconosciute le disfunzioni della Rete, “insidie da evitare” tra le quali, ad esempio: l’infodemia, la polarizzazione online, il fenomeno delle bolle e del cosiddetto “tribalismo digitale” ma anche indifferenza ed estremismo. E certamente vengono riconosciute le innumerevoli opportunità offerte dal digitale, e riscoperte anche durante la pandemia.

“Come credenti, siamo chiamati a essere comunicatori che si orientano intenzionalmente verso l’incontro” e la pratica dell’ascolto. “Ognuno può contribuire a realizzare questo cambiamento impegnandosi con gli altri e sfidando sé stesso”. Perché “cosa comunicare e come comunicarlo non è solo una questione pratica, ma anche spirituale”.

Così vengono offerte proposte concrete: attraverso lo “stile distintivo” della testimonianza, ad esempio o la condivisione delle buone storie come nello storytelling. Perché “non siamo presenti nei social media per ‘vendere un prodotto’” o “fare proselitismo”.

Pensiamoci: “La nostra presenza nei social media di solito si concentra sulla diffusione delle informazioni”. “Ma questo – viene ribadito – non basta”. Come cristiani o da cittadini digitali. E di fronte ad un possibile e auspicato cambiamento nell’oceano del web che può partire da ciascuno di noi: dalla goccia di un singolo individuo o dagli arcipelaghi di comunità.

Guarda il video