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Una presenza per la pace
La 45ª edizione del Meeting di Rimini è stato inaugurato dall’incontro con il Cardinal Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, introdotto da Bernard Scholz, presidente Fondazione Meeting per l’amicizia tra i popoli.
L’intervento del cardinale Pizzaballa è stato preceduto dalla lettura dei saluti di papa Francesco e del Presidente della Repubblica Mattarella. Scholz, quindi, ha dialogato con il cardinale toccando molti argomenti: dalla sua vocazione francescana, al dialogo interreligioso, alla guerra in Medio Oriente fino al dolore tragico e misterioso dei bambini.
Il Patriarca ha affrontato il tema del conflitto del 7 ottobre, descrivendo l’impatto devastante che ha avuto su entrambe le popolazioni, israeliana e palestinese. «Quello che è successo il 7 ottobre è stato uno shock incredibile per Israele», ha detto, spiegando che l’evento ha scosso profondamente le fondamenta del senso di sicurezza degli israeliani. Ha aggiunto che, per i palestinesi, la situazione è altrettanto tragica, e che i due popoli si rincorrono in un’escalation di odio, rancore e vendetta. «Il rifiuto reciproco dell’esistenza altrui si respira nell’aria», ha riconosciuto il cardinale con amarezza. Quanto alle possibilità di pace, Pizzaballa ha detto che «i negoziati in corso sono ormai l’ultimo treno. Io ho miei dubbi ma non bisogna perderlo, questo treno. Per questo ho chiesto di pregare incessantemente». Per il cardinale, comunque, una cosa è certa: «Ricostruire sarà una fatica immane che dovrà impegnare tutti».
Sullo stato del dialogo interreligioso, oggi, in Medioriente, Pizzaballa ha dato un giudizio molto critico. «Il dialogo è in crisi; ebrei, cristiani e mussulmani non riescono ad incontrarsi. Oggi non riusciamo a parlarci a livello istituzionale», ha riconosciuto senza giri di parole. «In passato ci sono stati incontri ufficiali che hanno prodotto documenti bellissimi, come ad Abu Dhabi», ha ricordato, «ma questo non basta più. Il dialogo interreligioso non può limitarsi alle élite; i leader religiosi devono aiutare le loro comunità a non chiudersi in sè stesse». Citando il rabbino e filosofo Abraham Joshua Heschel, Pizzaballa ha sostenuto che «nessuna religione è un’isola; abbiamo bisogno di innalzare lo sguardo e capire che non siamo isole. Il vero dialogo interreligioso è l’incontro tra persone che hanno un’esperienza di fede diversa, ma che, una volta condivisa, ti aiuta a illuminare in maniera più completa quello che sei tu».
Un altro tema cruciale affrontato dal Patriarca è stato quello della comunione cristiana in un contesto di divisioni politiche e culturali. La diocesi del cardinale copre quattro nazioni diverse: Giordania, Israele, Palestina e Cipro. Ci sono cristiani sotto le bombe a Gaza e cristiani che fanno il servizio militare nell’esercito israeliano. «Il cristianesimo astratto non esiste, il cristianesimo è sempre incarnato e bisogna fare i conti con le proprie appartenenze», ha affermato, spiegando che le identità nazionali e religiose non devono però annullare l’appartenenza a Cristo, «capace di rigenerare il nostro sguardo sulla realtà». Pizzaballa ha invitato a ricordare la scena del Getsemani: mentre Gesù agonizzava e veniva arrestato, c’era chi dormiva, chi fuggiva e chi sfoderava la spada. «Proprio come oggi: c’è chi non vuol vedere e si rifugia in un devozionismo sofisticato; c’è chi vede ma non vuole fare i conti con la realtà e c’è chi impugna le armi». Mentre Gesù ha donato la sua vita e l’ha affidata nelle mani di Dio. «Non abbiamo risposte, ma un indirizzo: Dio», ha affermato il cardinale: «Dio che dà senso a tutto quello che facciamo». In Terrasanta i cristiani, appena il 3% della popolazione, sono politicamente irrilevanti. «Ma la prima cosa non sono i numeri», ha sostenuto con forza Pizzaballa, «la prima cosa è esserci, stare lì e sostenere la comunità, incoraggiare. Va da sé che, poi, negli aiuti materiali sosteniamo tutti. A Gaza la nostra parrocchia si dà da fare per chiunque. Non abbiamo soluzioni politiche, ma una parola di verità perché non cresca la spirale dell’odio fra le nazioni».
Affrontando il tema del perdono in situazioni di ingiustizia, Pizzaballa ha ribadito che il perdono è centrale nella fede cristiana, ma ha sottolineato che esso «non si può imporre. A livello personale, giustizia e perdono sono quasi sinonimi, se illuminati dalla fede. Ma a livello comunitario le dinamiche sono diverse, perché entrano in gioco fattori come dignità ed uguaglianza; perdonare senza che ci siano dignità ed uguaglianza vuol dire giustificare un male che si sta compiendo. In questo caso il perdono ha dinamiche completamente diverse che richiedono tempo e parole di verità che riconoscano il male e l’ingiustizia commessi. Come pastore ricordo a tutti che la giustizia senza perdono diventa vendetta».
Pizzaballa ha poi parlato della necessità di una purificazione della memoria, intesa come la consapevolezza del male che facciamo e della necessità che «abbiamo di rileggerci e rileggere le nostre relazioni alla luce delle nuove relazioni e della consapevolezza che si acquisisce». Ha ribadito l’importanza di non restare chiusi nelle proprie narrazioni esclusive, ma di aprirsi a una comprensione più ampia e inclusiva della storia e delle relazioni
Rispondendo a una domanda sull’antisemitismo, il Patriarca ha condannato con fermezza questo fenomeno, distinguendolo dalla legittima critica politica. «L’antisemitismo è una sorta di cartina di tornasole per capire quali sono i modelli su cui si regge la società», ha detto, insistendo sull’importanza di costruire una società inclusiva, in cui nessuno sia emarginato. «Noi religiosi dobbiamo creare una cultura di relazioni, di accoglienza. La civiltà si costruisce “con” e non “contro”».
L’incontro si è concluso con un richiamo di Scholz alla sofferenza dei bambini nelle guerre. «A questa sofferenza c’è una risposta?», ha chiesto il presidente del Meeting. «No», ha risposto il cardinale. «Noi rischiamo di ridurre la fede ad una sorta di panacea che risolve tutti i problemi. Non è così. Anche nella fede cristiana resta comunque un elemento di tragicità. Le nostre domande sono le domande di tutti. Nella fede possiamo solo orientare queste domande a Dio. La fede non è una risposta a tutte le domande, ma una relazione dentro la quale tutte le domande hanno spazio». Per questo ha esortato a non cercare facili risposte, ma a restare dentro questa domanda, cercando di bilanciare il male con gesti di amore e di solidarietà.