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«Trasformare i nostri gesti da aiuto a relazione»
«Chi è il mio prossimo? La sapienza della Carità evangelica» è il titolo della Lettera pastorale 2023-24 per la diocesi di Novara. A presentarla al Santuario di Boca, lunedì sera, è stato il vescovo Franco Giulio Brambilla che l’ha illustrata a sacerdoti e diaconi. Il testo offre una meditazione sulla parabola del Buon Samaritano per leggere e comprendere, attraverso uno dei racconti più celebri del Vangelo, le sfide che si attendono la comunità cristiana chiamata all’attenzione e alla vicinanza ai poveri e a chi vive le diverse forme di fragilità.
A partire da una convinzione forte: la carità è «un compito interminabile », ma è anche un «dono inesauribile» se diventa un impegno di conversione del cuore. Non solo per rispondere alla chiamata degli ultimi, ma per liberarli dal bisogno e renderli fratelli. Una riflessione sui modi concreti della prossimità e insieme uno sguardo al cuore della fede, completando idealmente il percorso sulla «triade della pratica cristiana» iniziato negli anni passati con i testi dedicati all’Eucaristia e alla Parola.
« Perché questo titolo?», si domanda il vescovo. Che aggiunge: « È la domanda di sempre: quando e perché il vicino diventa prossimo? Il vicino è una realtà inesorabile, ma può essere non visto né incontrato; il prossimo è una scelta etica e religiosa, ma non accade spontaneamente. Per questo la domanda su “chi è il mio prossimo?” resta decisiva nell’esperienza umana». Così come il sottotitolo: “La sapienza della carità evangelica”. « La carità – aggiunge il vescovo – è una pratica che implica un sapere ed è un sapere che ha una forma pratica. È un sapere che non si può conoscere a monte dell’investimento del soggetto: il povero (in tutte le sue varianti: povero, dipendente, escluso, vulnerabile, handicappato, migrante) non è conosciuto senza che sia incontrato. L’atto della carità è una relazione di aiuto che ha da trasformarsi in relazione fraterna». E qui viene citata la duplice dimensione della carità: «Sotto la dizione “carità”, noi intendiamo un duplice significato: servizio e virtù».
Durante la serata è intervenuto don Giorgio Borroni, direttore della Caritas diocesana, con una serie di proposte pratiche volte all’“applicazione” di quanto scritto nella Lettera, su quattro livelli: parrocchia, unità pastorali missionarie, vicariati e un ultimo con respiro totalmente diocesano. «Sulla scia del XXI Sinodo diocesano, conclusosi nel settembre 2017, e alla luce del prezioso contributo della Lettera per l’anno pastorale 2023-2024 – sottolinea don Borroni – la nostra diocesi intende così ripensare il proprio modo di farsi prossimo e di prendersi cura delle ferite di una umanità segnata in questi ultimi anni dalla pandemia e dalle guerre, sempre più fragile e vulnerabile. Abbiamo bisogno di generare una carità nuova, dove il soggetto è la comunità cristiana che crea nuove relazioni, che partecipa attivamente e che, a vari livelli, si interroga su come essere l’albergatore della parabola che si prende cura della fragilità umana che Cristo, Buon Samaritano, gli affida nell’attesa del suo ritorno nella storia».