The son

New York oggi, Peter è un avvocato cinquantenne la cui carriera è prossima a una svolta, vicina a una candidatura politica a Washington. L’uomo è sposato in seconde nozze con la trentenne Beth, e la coppia ha appena avuto un figlio. In verità Peter è già padre di un ragazzo adolescente, Nicholas, nato dalla relazione con la coetanea Kate. Il primo matrimonio è però naufragato da anni a causa di varie incomprensioni; a farne le spese è soprattutto Nicholas, che si è chiuso in se stesso…

Valutazione Pastorale

“The Father” (2020) non ha rappresentato solamente il folgorante esordio di Florian Zeller, con alle spalle un solido percorso teatrale, ma è anche il suo ingresso nel cinema hollywoodiano, suggellato da due Premi Oscar: per l’attore protagonista Anthony Hopkins e la miglior sceneggiatura firmata dallo stesso Zeller insieme a Christopher Hampton. A distanza di due anni, l’autore torna a dirigere un altro struggente copione tratto da una sua pièce, un lavoro che esplora il rapporto padre-figlio e le sue zone d’ombra. Parliamo di “The Son”, interpretato da Hugh Jackman, Laura Dern, Vanessa Kirby, Zen McGrath e Anthony Hopkins, passato in Concorso alla 79a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia. La storia. New York oggi, Peter (H. Jackman) è un avvocato cinquantenne la cui carriera è prossima a una svolta, vicina a una candidatura politica a Washington. L’uomo è sposato in seconde nozze con la trentenne Beth (V. Kirby), e la coppia ha appena avuto un figlio. In verità Peter è già padre di un ragazzo adolescente, Nicholas (Z. McGrath), nato dalla relazione con la coetanea Kate (L. Dern). Il primo matrimonio è però naufragato da anni a causa di varie incomprensioni; a farne le spese è soprattutto Nicholas, che si è chiuso in se stesso. Dinanzi a prolungate assenze da scuola e ad allarmanti atteggiamenti autolesionistici, Peter decide di prendere il ragazzo in casa con sé… “

È un film sul senso di colpa, sui legami familiari e, in ultima analisi, sull’amore”. Così sottolinea il regista Florian Zeller, che aggiunge: “È in parte ispirato a emozioni che conosco personalmente. Volevo condividerle con il pubblico perché so che molte persone si confrontano con i disturbi mentali e che la vergogna e lo stigma associati a questi problemi possono ostacolare conversazioni necessarie e talvolta vitali”. Zeller sorprende nuovamente con un dramma intimista, mettendo in scena i tormenti di un padre, di una madre, davanti a un figlio che si scopre malato. Nicholas è caduto nella vertigine della depressione giovanile, una vertigine che lo ha inghiottito a partire dalla fine del matrimonio dei genitori. Punto di vista della storia sono loro, le due figure genitoriali, come pure Beth, la nuova moglie di Peter: adulti che si adoperano con ogni sforzo per entrare nelle pieghe della mente e dell’animo di un adolescente provato e respingente, prigioniero del mal di vivere.

Vediamo così Peter pedinare ogni gesto del figlio, cercare di leggere i suoi silenzi, di favorire in lui slanci di integrazione nella nuova scuola in cui viene iscritto; gli compra una giacca, sperando che la possa indossare a una festa, come tutti i ragazzi della sua età. Nicholas lo asseconda, trasmette timide aperture, ma intanto prosegue nel tagliarsi di nascosto, nell’infliggersi lesioni sulla pelle. Come Peter, anche la madre Kate prova a penetrare la cortina di ferro del ragazzo, tentativi che risultano puntualmente inefficaci, vani, disperati. Zeller è bravo, anzi bravissimo, nel governare la storia, sia dal punto di vista della regia che della scrittura; si tiene lontano abilmente da percorsi narrativi prevedibili o schematici. In “The Son” non c’è infatti nessun personaggio che risulta stonato o “sbagliato”; i genitori che tratteggia sono profondamente umani, terreni, cui non è possibile addossare responsabilità o mancanze. Amano il proprio ragazzo, ma il loro amore non basta a fronteggiare un simile buco nero, la piaga della depressione giovanile. “The Son” mette pertanto in evidenza angosce, irrisolti e insicurezze genitoriali, le continue domande sull’adeguatezza o meno del proprio ruolo, sulla qualità e quantità della propria presenza in casa. Un cinema che si muove con passo sicuro, ma con delicatezza, regalando vibranti e contrastanti emozioni. Film complesso, problematico, per dibattiti.

Utilizzazione

Indicato per la programmazione ordinaria e per successive occasioni di dibattito. Per la delicatezza del tema affrontato, si segnala il film per un pubblico adulto.