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Teologia dalle periferie
Oggi parliamo di teologia. Già nominandola, qualcuno penserà si tratti di un discorso complicato. E proprio questo è il suo problema. Nella vita, di cose difficili ce ne sono, naturalmente. Non tutto può essere facile. Ma anche ciò che non è facile può essere detto in modo semplice. I piccoli – di cui oggi vorrei parlarvi – sanno cogliere cose difficili ed esprimerle in modo semplice. A dire il vero, sono così anche i veri grandi! Nel mondo antico questa si chiamava sapienza. Sápere: avvertire delle cose non solo le misure, ma il sapore. La teologia, per fare il suo servizio alla fede, non basta che sia una scienza: deve essere una sapienza. Il suo compito è portare i pensanti a essere credenti e i credenti a rimanere pensanti. Pensante è una persona che si fa delle domande. Sviluppa cioè un’apertura verso ciò che legge, che ascolta, che incontra. Ma non un’apertura passiva. Il suo cuore e la sua mente interagiscono con ciò che vede e sente. La realtà ti viene incontro nella misura in cui le vai incontro. Sorge così anche la fede: ce lo raccontano tutte le pagine dei vangeli e le grandi storie raccontate nella bibbia. Storie complicate, piene di drammi e di contraddizioni che fanno sorgere tante domande su Dio, ma anche fanno intuire tante domande di Dio. I protagonisti di queste storie reagivano, pensavano, stavano in piedi davanti a Dio stesso.
Papa Francesco chiede alla teologia, con grande forza, di cambiare direzione. Di non essere più quella complicata trattazione di problemi che nessuno nella vita si pone e che dividono i religiosi e gli accademici in fazioni, separandoli dalle grandi sfide del popolo di Dio. L’umanità intera ha bisogno di un pensiero vivo che nasca da ciò che Dio vuol farle conoscere di sé. E come si ricomincia allora? Da dove si ricomincia? Il Papa dice a tutti, quindi anche ai teologi: dai margini, dai poveri. Dal Vaticano guido un programma di ricerca che si intitola “Fare teologia dalle periferie esistenziali”. Per realizzarlo, abbiamo dovuto lasciare per un momento i libri e le università per andare in quelle parti delle città che la Chiesa stessa fatica a raggiungere. 40 città del mondo, per cominciare. Capite? Una novantina di teologi fra i carcerati, le prostitute, i senza fissa dimora, i disoccupati, i migranti bloccati alle frontiere. E anche tra coloro che non abbiamo mai ascoltato abbastanza nel pensare la fede: le madri lavoratrici, le comunità lgbtq, gli anziani dimenticati, le persone con disabilità. Che cosa sanno di Dio?
La sorpresa è stata e credo continuerà a essere enorme. I teologi dovranno tornare ai libri e nelle università, naturalmente, ma lo shock, la commozione, la scoperta di questo “cristianesimo della strada” o “nella vita” cambia le domande, dona nuovi linguaggi al pensiero. Soprattutto, però, la storia biblica – quella che in Gesù ha il suo culmine – viene riletta in così tante storie contemporanee, personali, da ritornare finalmente “viva”. E allora quella storia – che chiamiamo storia della salvezza – ricomincia a illuminare il mondo così com’è. Lo contesta, ci domanda dove stiamo correndo, mette in moto l’immaginazione di altri mondi possibili. La realtà – ci ha insegnato papa Francesco – si capisce meglio dalle periferie: questo è il senso più profondo della vicenda di Gesù. La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra angolare. Teologi o non teologi, credenti o non credenti possiamo da subito dare credito a questa ipotesi e provare a cambiare prospettiva.
*Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale