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Superare facili contrapposizioni
Sull’insegnamento vanno superate le facili contrapposizioni Nel maggio del 2000, a Cerro Grande, nel New Mexico, un incendio programmato per ragioni di protezione civile sfugge al controllo di chi lo aveva generato provocando danni per un miliardo di dollari, bruciando 170 km quadrati di vegetazione, lasciando 400 famiglie senza casa. Prende spunto da questo caso la riflessione di Weick e Suttcliffe in un libro, ‘Governare l’inatteso’, che diventa presto un classico della letteratura organizzativa. E ‘Governare l’inatteso’ ha intitolato la Sirem (la Società Italiana di Ricerca sull’Educazione Mediale di cui sono presidente) un miniciclo di due webinar dedicati a discutere di Scuola e Università al tempo del Covid (o del post-Covid?). L’idea alla base dell’iniziativa era di andare oltre i luoghi comuni, di superare la discorsivizzazione facile, di provare a pensare oltre le scorciatoie cognitive. Quelle, per intenderci, che animano il dibattito sui social e cui spesso non sfugge nemmeno certo giornalismo.
Una scorciatoia cognitiva è una scelta che consente di risparmiare tempo e fatica, così almeno sembra. Significa affidarsi a semplificazioni, basarsi su quel che si era fatto in passato in casi analoghi e aveva avuto successo, accontentarsi di riproporlo. L’impressione è che l’emergenza che abbiamo vissuto (e che ancora non sembra risolta) sia stata affrontata proprio facendo ricorso ad alcune di queste scorciatoie cognitive. È una scorciatoia impostare tutto il dibattere sulla base della contrapposizione (o dell’alternanza) tra presenza e distanza. La presenza è il valore, la distanza il ripiego. La presenza comporta dei rischi, la distanza mette in sicurezza. La presenza garantisce le relazioni, la distanza le impoverisce. Sembra che basti dosare i due ingredienti: un po’ di distanza e un po’ di presenza; in presenza fin che si può, poi nella peggiore delle ipotesi si torna a distanza. Ma la scuola e l’università è presenza e distanza? Non c’è dell’altro? E la relazione, piuttosto che dipendere dalla situazione, non dipende forse dall’intenzionalità educativa? Posso essere in aula e totalmente non relazionale. Posso lavorare in rete ed essere vicinissimo ai miei studenti. Una scorciatoia, chiaro. E una semplificazione evidente.
Ma anche costruire tutto sulle procedure è una scorciatoia: distanze, protezioni, sanificazione, controllo delle temperature, test, quarantene, banchi singoli, mascherine. Cosa resta della scuola? Che esperienza si propone agli studenti? Qual è il senso di una presenza a tutti i costi – nella scuola come nell’Università – quando si tratta di una presenza “ospedalizzata”, quando è impossibilità di contatto ed esperienza dei vincoli piuttosto che della relazione, quando devi tornare a sospenderla? Ancora una volta una scorciatoia cognitiva, una semplificazione. Proviamo allora a vedere cosa potrebbe voler dire evitare tutto questo. Comporta di adottare alcune scelte di fondo. Anzitutto l’idea che lo schermo del computer non sia un luogo, ma un mezzo. Perché starci davanti senza muoverlo? Perché non usarlo mentre ci muoviamo noi nello spazio della casa? Perché non allontanarlo e avvicinarlo secondo le necessità? Ecco allora che le cucine di casa possono sostituire i laboratori inaccessi- bili di un Alberghiero, o il salotto di casa trasformarsi in una palestra per il lavoro sul corpo e sul movimento (come nei laboratori di drammaturgia didattica del mio corso di laurea, dove si formano i maestri di domani). Ed ecco che la mia lezione universitaria non mi condanna a fare per forza il mezzobusto: posso inquadrarmi mentre sono in piedi, mi muovo, mostro dei libri, altri oggetti.
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