Scongiurare l’assedio totale di Gaza. Distinzione e proporzione

L’attacco terroristico a Israele del 7 ottobre ha provocato circa 1.300 vittime, per lo più civili inermi. Parametrato alla popolazione, è come se in Italia fossero state uccise 8mila persone, e 46mila negli Stati Uniti (furono tremila i morti nelle Torri Gemelle l’11 settembre 2001). Una settimana dopo Hamas, che ha tra i suoi obiettivi sradicare la presenza ebraica nella regione, continua a lanciare razzi verso le città del Nord e a cercare di infiltrare miliziani verso gli insediamenti.

Mettere anche solo in dubbio il diritto del governo israeliano di allestire una difesa che implica la cattura o l’eliminazione delle forze militari determinate a minacciarne la sicurezza significa parteggiare per coloro i quali non hanno esitato a infierire su neonati e bambini. Invocare la storia delle tormentate relazioni – e di ragioni e torti – tra lo Stato ebraico e i palestinesi non sembra consentire un passo avanti nella valutazione del drammatico qui e ora che stiamo sperimentando.

Solidarizzare con un Paese aggredito e ferito in tale misura equivale alla condanna del terrorismo in quanto tale, qualunque siano le sue motivazioni. Ma è anche solidarizzare con un popolo che è stato ed è esposto all’odio e alla discriminazione in maniera speciale nella storia e in questo momento nel Medio Oriente, dove ha costruito una democrazia e sta tentando di ricucire le relazioni con molti Stati della regione.

Essere amici di qualcuno vuole anche dire sperare il suo bene ed essere onesti nei suoi confronti. Per questo non è spostarsi dalla vicinanza e dall’appoggio a Israele sottolineare che a Gaza non vi sono solo terroristi con le mani sporche di sangue, ma due milioni di civili, con una quota amplissima di ragazzi e bambini.

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