Diocesi
San Francesco e il Sultano
Presso il salone della Parrocchia di s. Lucia il Serra Club ha tenuto l’incontro di apertura del nuovo anno sociale che ha stabilito come tema di riflessione la fede.
Il neo presidente Luigi Casale durante i saluti iniziali, ha ringraziato per l’ospitalità il parroco monsignor Paolo Razzauti e il relatore fra’ Matteo Brena originario di Bergamo, diplomato in restauro, entrato nell’Ordine francescano nel 2003, commissario di terra Santa della Toscana che ha accettato l’invito di parlare di un evento che ha lasciato un segno nella storia, non solo francescana, ma è stato una pietra miliare per il dialogo interreligioso.
Fra’ Matteo ha subito voluto sottolineare come il tema dell’anno serrano sulla fede in relazione con le celebrazioni dell’ottavo centenario dallo storico incontro tra san Francesco e il Sultano, è l’occasione propizia per approfondire lo sguardo sulla terra Santa che fa parte della nostra vocazione cristiana. La Terra Santa possiamo definirla il “Quinto Vangelo che parla di noi”. Livorno fin dalla sua fondazione, nel 1600 aveva un commissariato per la Terra Santa perché per la sua posizione strategica, dal suo porto partivano gli arredi sacri che dovevano adornare le chiese nei luoghi santi.
La presenza dei frati in Terra Santa da oltre 800 anni è legata all’evento storico avvenuto nel 1219, quando Francesco parte per quei luoghi, dove si è attuata la storia della salvezza a partire da Abramo. E’ una terra particolare, di rara bellezza dove troviamo le tre grandi Religioni monoteiste. Dal 1300 i Papi invitano i francescani a risiedere in quei luoghi perché capaci di dialogare con le popolazioni. Francesco dunque, nel 1219, in piena crociata, in Egitto, come semplice frate di Assisi decide di oltrepassare la frontiera del campo crociato e incontrare il capo della fazione avversa, armato solo del suo saio e della sua fede.
Non sappiamo molto dalla cronaca cosa sia successo, ma sappiamo che l’incontro fu molto intenso dove ognuno parlava del proprio Dio, senza convertirsi, entrambi si riconoscono adoratori di Dio. Il sultano concede la possibilità di visitare i luoghi santi e al suo ritorno Francesco porterà il presepe e il rosario. Questo incontro diventa la pietra miliare per il dialogo interreligioso. Da questo, derivano delle raccomandazioni su come rapportarsi con coloro che non sono cristiani.
I frati non devono quindi nascondere la propria fede. Tuttavia, la professione non ha lo scopo di creare ostilità, né di offendere l’altro. E se Francesco non parla apertamente di fraternità universale, l’umiltà rimane primaria caratteristica dell’ordine e il servizio agli altri una costante. Questi altri non sono più solo i cristiani, ma «ogni creatura umana» a cui i frati devono essere soggetti «per amore di Dio». Il primo compito è quello della testimonianza della vita, più importante delle parole, come leggiamo in diversi scritti: «E tutti i frati si guardino dal calunniare alcuno, e evitino le dispute di parole», scrive al capitolo XIX della stessa Regola. Le parole rischiano di essere sterili. Sono gli atti che permettono di aprire i cuori e manifestare l’amore di Cristo: «Tutti i frati, tuttavia, predichino con le opere». In un secondo momento può arrivare l’evangelizzazione vera e propria, ma solo «quando piace al Signore». Sono queste le indicazioni che hanno accompagnato l’ordine francescano in questi 800 anni, permettendogli di rimanere presente pacificamente in Terra Santa .È in questa accezione che lo spirito di Assisi diventa un modello a cui la Chiesa può ispirarsi per improntare il cammino verso la pace. Proprio facendo riferimento a questo spirito, Papa Giovanni Paolo II, il 27 ottobre del 1986, ancora in clima di Guerra Fredda, si recò ad Assisi con i leader cristiani e delle religioni mondiali per pregare per la Pace. Ecco allora che l’approccio di Francesco, basato sul rispetto dell’altro e testimonianza della vita, diventa una luce a cui guardare nelle relazioni interreligiose. Un approccio particolarmente presente nel Pontificato dell’attuale Papa Francesco, il quale ha fatto riferimento a quell’incontro e allo spirito d’Assisi in diverse occasioni. Non ultima, il suo viaggio ad Abu Dhabi nel febbraio scorso dove facendo riferimento all’ottavo centenario dell’incontro tra San Francesco di Assisi e il sultano al-Malik al-Kāmil, dice di aver accolto l’opportunità di recarsi in quei luoghi come credente assetato di pace, come fratello che cerca la pace e promuove la pace, con i fratelli.
Attualmente in Terra Santa i francescani vivono in un contesto molto vivace, con mutamenti continui. Nonostante i problemi del muro di Betlemme che toglie futuro e possibilità di movimento i francescani con le loro opere cercano di aiutare la popolazione più anziana con una casa di accoglienza, così pure hanno aperto una casa di ospitalità per i bambini con handicap che secondo la cultura del luogo non avrebbero futuro. Anche la scuola cristiana retta dai frati insegna la convivenza e si tengono due ore di religione, una cristiana e una musulmana dove si impara il rispetto. La presenza attuale dei francescani ci ricorda che se a quel tempo i cristiani partivano rivestiti di pesanti armature, ora invece come Francesco partono armati solo della fede umile e del suo amore concreto. È importante la mitezza e se vivono nel mondo al modo di Dio, diventeranno testimoni della sua presenza; altrimenti, non porteranno frutto.
Monica Cuzzocrea