Livorno
Riflessioni sulla prima guerra mondiale
La conferenza nella sala di villa Fabbricotti

A cura dell’ANPPIA e dell’ANPI si è tenuta nel salone della Villa Fabbricotti una conferenza sul tema: “La prima guerra mondiale. Esperienza, memoria, eredità”. Il relatore è stato il prof. Fabio Cafferana, docente di Scienza della Formazione all’Università di Genova. L’incontro è stato aperto dall’assessore comunale di Livorno alla formazione Michele Mignani che nel portare il saluto dell’Amministrazione comunale all’iniziativa, ha ricordato che la recente ricorrenza del 4 novembre ci spinge a guardare all’oggi e a condurre una riflessione sulle guerre in corso. La giovane Alessia Cespuglio ha poi recitato un monologo da lei stessa composto che metteva in risalto le figure di tre giovani fratelli livornesi che avevano partecipato alla prima guerra mondiale. Attilio, che non era tornato, Ennio, che non ci voleva andare, ma che grazie alla sua capacità di resistenza era potuto ritornare, e Livio che a causa della paura e delle bombe che gli erano cadute a fianco, era divenuto uno “scemo di guerra”, cosa che era capitata anche a tanti altri giovani distrutti psicologicamente dagli avvenimenti.

Il Prof. Cafferana con la sua relazione ha voluto dare una testimonianza dei soldati comuni che vivendo l’esperienza guerresca sono stati espressione di una modernità assoluta che propone anche uno sguardo particolare sui ceti subalterni. Si è trattato infatti di una “guerra di massa” che ha coinvolto 20 milioni di persone e si stimano in 10 milioni i caduti per le conseguenze belliche. In effetti “non si potrà mai capire quanti siano stati i caduti reali”. Nel conflitto furono mobilitati sei milioni di soldati e gli analfabeti ne costituivano il 70%. Vi fu, per capire il loro stato d’animo, un’enorme produzione di lettere e cartoline, queste ultime spesso “in franchigia”, cioè con il costo di spedizione a carico dello Stato, ma spesso vistosamente “censurate”. La scrittura era divenuta un mezzo di “resistenza psicologica”, un modo cioè di “rinsaldare la lontananza con le famiglie e conservare una sorta di salute mentale”. Il relatore ha messo anche in evidenza che nel corso della guerra si sviluppa “una comunità di trincea che surroga quella familiare”. Il Prof. Cafferana ha poi sottolineato alcuni aspetti dei combattenti in trincea, immersi nel fango e nei pidocchi: quella di vivere la vita “noiosa” della trincea quando non ci sono gli scontri diretti e la constatazione che i soldati sono solo degli “ingranaggi” di una “grande fabbrica di produzione di morte”.
Dalla tanta “letteratura degli illetterati” riguardante il loro rapporto con il nemico si può leggere che “i nemici sono gli Stati che li hanno mandati in guerra”. Con la guerra si attua “l’esercizio della violenza”, che diventa strumento politico, “ci si abitua alla violenza”. Concetto che sarà determinante nella nascita del fascismo che poi “intercetta il lutto di massa della Grande guerra” come modo di acquisizione del consenso. Da qui poi l’alleanza con Hitler, il razzismo, la tragedia della Seconda Guerra Mondiale, la nascita della nuova Italia resistenziale.