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Quale libertà?
L’aborto farmacologico ai tempi del coronavirus nel Regno Unito, Paese tra i più liberali in Europa nella cosiddetta salute riproduttiva, è sempre più facile e veloce. Il kit per farlo a casa, senza controllo medico, arriva per posta nel giro di quattro giorni. Per chiederlobasta una consultazione telefonica con il medico di base di appena trenta minuti.Accolto e promosso dalle associazionipro-choice come una qualunque prestazione di telemedicina, il servizio è stato introdotto il 30 marzo nell’ambito delle misure di emergenza dettate dalla pandemia attraverso un ‘temporaneo’ rilassamento della legge attuale. L’occasione è ghiotta, adesso, per chi ambisce a normalizzare l’aborto in remoto facendo saltare l’obbligo – tutt’ora previsto dalle linee guida – di sommini-strare in ospedale la prima delle pillole abortive (il mifepristone), quella che inibisce lo sviluppo embrionale. La pietra d’inciampo su cui la svolta potrebbe infrangersi però è grossa: l’aborto fai da te è pericoloso. L’invito alla cautela arriva dagli stessi operatori sanitari che, come trapelato da un’email «urgente» del 21 maggio intercettata dall’associazione pro-life Christian Concern, segnalano il «rischio crescente» delle pillole abortive domiciliari. La comunicazione sintetizza le preoccupazioni già condivise dalla Care Quality Commission, autorità britannica per i servizi di cura e assistenza, con le direzioni sanitarie regionali, e segnala che ben 13 casi di aborto farmacologico sono finiti sotto inchiesta nelle ultime settimane. Tra i casi più gravi a cui lavorano le autorità di pubblica sicurezza ci sarebbe la morte di un bambino sopravvissuto all’aborto e di due donne che hanno perso la vita per effetto delle complicazioni insorte (sepsi ed emorragia). Un filone specifico delle indagini riguarda l’uso improprio del kit abortivo, consegnato al domicilio di donne che avrebbero oltrepassato il limite delle 10 settimane entro cui il provvedimento straordinario del Ministero della Salute autorizza l’aborto via posta. Si sospetta che l’interruzione della gravidanza sia stata procurata anche assai oltre, fino alla 30esima settimana. L’email si chiude con un appello: «Abbiamo la necessità di capire meglio gli effetti [delle pillole] sulle donne che ricorrono al servizio offerto dalla sanità pubblica. Il bilancio tra i rischi fisici e mentali e la alvaguardia è complesso spe- cialmente in assenza di dati».
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