Presentata l’enciclica «FRATELLI TUTTI» a San Ferdinando

Dopo un lungo periodo di sosta forzata, il dialogo interreligioso ha cominciato a riprendere il cammino, e lo ha fatto a partire da un documento firmato da Papa Francesco il 3 ottobre del 2020. Il titolo “Fratelli tutti”, come ha sottolineato Silvestro Bejan teologo francescano di Roma, è una citazione diretta dalla Ammonizione VI di san Francesco d’Assisi. Il giorno dopo la firma dell’Enciclica sulla fraternità e amicizia sociale il Papa ha detto: «L’ho offerta a Dio sulla tomba di San Francesco, dal quale ho tratto ispirazione, come per la precedente Laudato si’»

La fratellanza è stata il primo tema al quale Francesco ha fatto riferimento quando ha iniziato il suo Pontificato. Il testo diviso in otto capitoli, è lungo e molto articolato.

Per comprenderlo, occorre innanzi tutto tenere ben presente qual è il suo obiettivo. Come sempre il papa è animato da una intenzione pratica: il suo desiderio è spingere chi legge a reagire e a operare per il cambiamento di una situazione di cui si denunciano le ingiustizie e i limiti intollerabili. Lo afferma con chiarezza al n. 6: «Le pagine che seguono non pretendono di riassumere la dottrina sull’amore fraterno, ma si soffermano sulla sua dimensione universale, sulla sua apertura a tutti. Consegno questa Enciclica sociale come un umile apporto alla riflessione affinché, di fronte a diversi modi attuali di eliminare o ignorare gli altri, siamo in grado di reagire con un nuovo sogno di Fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole».Ci troviamo di fronte a un testo che è “da fare” molto più che “da studiare”.

L’Enciclica declina insieme la fraternità e l’amicizia sociale. Questo è il nucleo centrale del testo e del suo significato. Il realismo che attraversa le pagine, diluisce ogni vuoto romanticismo, sempre in agguato quando si parla di fratellanza che non è solamente un’emozione o un sentimento o un’idea, ma un dato di fatto che poi implica anche l’uscita, l’azione e la libertà: «Di chi mi faccio fratello?».

La fratellanza così intesa capovolge la logica dell’apocalisse oggi imperante; una logica che combatte contro il mondo perché crede che questo sia l’opposto di Dio, cioè idolo, e dunque da distruggere al più presto per accelerare la fine del tempo: “La fratellanza non brucia il tempo né acceca gli occhi e gli animi. Invece occupa il tempo, richiede tempo. Quello del litigio e quello della riconciliazione. La fratellanza «perde» tempo. L’apocalisse lo brucia. La fratellanza richiede il tempo della noia. L’odio è pura eccitazione. La fratellanza è ciò che consente agli eguali di essere persone diverse. L’odio elimina il diverso”. Il riconoscimento della fratellanza cambia la prospettiva, la capovolge e diventa un forte messaggio dal valore politico: tutti siamo fratelli, e quindi tutti siamo cittadini con uguali diritti e doveri, sotto la cui ombra tutti godono della giustizia ed infine essa è poi la base solida per vivere l’«amicizia sociale».

La professoressa Silvia Guetta, membro della Comunità Ebraica di Firenze, docente di Pedagogia con specializzazione sulle tematiche della comunicazione non violenta e della didattica della Shoah, ha colto in questo Documento una sollecitazione alle coscienze verso problematiche che ci coinvolgono globalmente a partire dall’alimentazione perché questo vuole il rispetto verso se stessi e gli altri. Se guardiamo ai processi vediamo come si perviene allo scontro e addirittura ai genocidi se non ci facciamo garanti della sicurezza umana e pertanto dobbiamo riconoscere questa interdipendenza sociale per prevenire e intervenire praticamente. Nella tradizione ebraica l’essere fratello ci porta alla domanda : chi è mio fratello”? E’ un rapporto che parte dal sentimento, dalla scoperta, dal vissuto insieme. In ebraico “fratello” si pronuncia ‘àch, mentre “altro” si dice ‘achèr: la radice è la stessa. Non solo: è interessante notare come il termine che indica una relazione tra àch e achèr sia ‘achariùt: con la stessa radice la lingua ebraica esprime il vincolo della relazione, la responsabilità che lega l’uno all’altro. Dunque, per fratellanza si intende la relazione costitutiva dell’uno con l’altro: il vincolo di responsabilità che lega, dentro e oltre i legami di sangue. Da diversi anni ormai, in Europa e in tutto l’Occidente, stiamo assistendo ad una vera e propria crisi della categoria della fratellanza: non in termini morali o moralistici, bensì propriamente politici. Cosi pure stiamo assistendo ad una crisi delle identità – ossia degli elementi collanti della collettività umana – e proprio per tale ragione non siamo più in grado di riconoscere chi sia nostro fratello. Ciò porta alla disgregazione sociale. Pertanto uno dei compiti fondamentali del nostro tempo è di elaborare un modello di fratellanza che tenga insieme le differenze che abitano il nostro mondo, a partire dal territorio in cui ciascuno di noi vive. Le donne possono dare un grande contributo perché hanno il coraggio di cambiare e “sono complici di Dio nell’aiutare la creazione”. La dimensione della fratellanza comporta un riconoscimento dell’altro, della distinzione e individualità che si costruisce nella vita e solo le conflittualità riconosciute diventano il modo per convivere insieme. “Quando lasciamo che ciascuno possa avere il suo spazio, il proprio punto di riferimento, il proprio limite e quell’ dell’altro, ecco che nel darci la mano, riusciamo a dare tutto noi stessi”.

Hamdan Alzeqri, Consigliere nazionale direttivo UCOII, delegato nazionale dialogo interreligioso e relazioni DAP e carceri, responsabile del dialogo interreligioso della comunità islamica di Firenze e Toscana, nel suo intervento a commento della Fratelli Tutti, ha ricordato come nel suo primo viaggio dalla Mecca alla città di Medina, nel 622, il profeta Muhammad tenne un discorso, poi divenuto celebre, carico di grandi aspettative e che ha assunto un valore programmatico. In tale occasione il Profeta si rivolse alla popolazione di Medina con l’appellativo «Oh gente», includendo così tra i suoi uditori persone di fede diversa, come ebrei e pagani. Nelle fonti islamiche è uso fare una distinzione, infatti, tra i discorsi rivolti a tutti, che utilizzano appunto questo appellativo, quelli indirizzati ai “credenti” – cioè musulmani, ebrei e cristiani – e, infine quelli riservati esclusivamente ai musulmani. Questo primo discorso del Profeta assume quindi destinazione e significato universali e consta in un triplice invito: «diffondere il saluto», «dare da mangiare» e «pregare mentre la gente dorme». La diffusione del saluto infatti indica la possibilità di entrare in relazione con chiunque in termini pacifici. L’esortazione a dare da mangiare, significa qualcosa di più che un atto di solidarietà: nella cultura islamica, il pasto condiviso è segno di fraternità; ne deriva l’usanza, ancora in vita in molti Paesi, di mangiare in convivialità dallo stesso piatto. La relazione stabilita tramite il saluto assume un carattere fraterno attraverso la condivisione del nutrimento. Infine, risuona l’invito a condividere la preghiera, indicando che le relazioni fraterne tra gli esseri umani hanno il loro fondamento nella giusta relazione con Dio. Questo primo discorso, che ci riporta agli albori della religione islamica, ci fa scoprire un anelito alla fratellanza umana, che ritroviamo poi espresso anche nel Corano. La sura 49, versetto 13, afferma infatti: «Oh gente, vi abbiamo creato da un maschio e da una femmina e abbiamo fatto di voi popoli e tribù, affinché vi conosceste a vicenda»

Questo versetto richiama l’origine comune dell’umanità, da un maschio e da una femmina che, nella loro diversità e complementarità, contengono il seme di un’umanità a venire, la quale vivrà, come i progenitori, la realtà delle differenze e la ricerca dell’unità. Dalla coppia originaria scaturiscono i popoli e le tribù: questo è un invito, per chi ascolta, a riconoscere che la sua realtà etnica e sociale non è l’unica. Il testo apre così l’immaginazione a un mondo plurale, nel quale le differenze già sono presenti. Tuttavia, lo scopo di questa creazione nella diversità è il «conoscersi a vicenda»: qui il valore relazionale è molto chiaro e se ne comprende anche lo scopo, cioè la costruzione di una fraternità attraverso la relazione tra realtà le cui differenze non vengono mai annullate. Purtroppo la storia ha pagine sanguinose del non riconoscere la relazione e il valore dell’altro, ma ci aspettano tante sfide e sollecitazioni e il ritrovarsi a dialogare su questa enciclica ci mette come credenti davanti alle nostre responsabilità che sono maggiori in quanto siamo persone di fede. Le fedi infatti ci invitano ad essere costruttori di pace e “la società è l’altare dove lavora Dio”.  

Questo incontro tenutosi presso la Chiesa di san Ferdinando è stato organizzato a chiusura del Mese Missionario dal Cedomei, dall’Ufficio Migrantes e dalle associazioni Segretariato Attività Ecumeniche, Cooperatori Paolini e Amicizia Ebraico-cristiana di Livorno

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