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Perché è più difficile fare acquisti?
All’inizio erano le biciclette. Poi gli attrezzi per fare ginnastica in casa. La farina e le macchine da cucire. Oggi uno dei maggiori fornitori di frutta australiani ha due container pieni di mele parcheggiati da quattro settimane in Nuova Zelanda in attesa di una nave per Los Angeles. A Tokyo bisogna aspettare cinque mesi per la consegna di un Suv. E Parveen Sharma, presidente della società di trasporti American International Shipping Company avverte: «Se non era su una nave quattro settimane fa, non ce l’avrai per Natale». I movimenti di merci a livello mondiale sono diventati imprevedibili, i ritardi nelle consegne sono all’ordine del giorno e i prodotti introvabili sempre più numerosi. In Italia gli effetti più ampi di questa crisi ancora non si vedono del tutto, se non sul fronte dei prezzi, ma può essere solo una questione di tempo, perché altrove il problema è già esploso. Il fatto è che nel mondo sviluppato non eravamo abituati a conoscere una penuria di prodotti, a consumare a singhiozzo, a vedere scaffali vuoti e a cercare merci che mancano.Quali sono le cause della carenza di prodotti nei maggiori mercati del mondo? Cosa sta succedendo? La colpa è della pandemia, ma non solo. Gli elastici dei lockdown alternati alle riaperture che si tendevano e rilassavano in turno in tutti i Paesi del mondo si sono ingarbugliati con tensioni commerciali esistenti, gli effetti dei cambiamenti climatici e una crisi energetica. Il risultato è una matassa difficile da sbrogliare, che secondo gli esperti continuerà ad avere effetti negativi per i prossimi due anni. Per gli europei pronti a tornare alla normalità è difficile capire perché auto ed elettrodomestici siano diventati così rari. La risposta va cercata in una catena di approvvigionamento divenuta negli ultimi 30 anni più complessa, globale e rigida. La maggior parte delle aziende occidentali di beni durevoli, prodotti tecnologici, abbigliamento, calzature e mobili ha infatti decentralizzato in Asia la produzione di un numero crescente di prodotti o di loro componenti. Spesso persino l’assemblaggio viene affidato ad appaltatori, creando una dipendenza da una combinazione di aerei, navi, camion e magazzini per riunire i componenti, spedire i prodotti e immagazzinare l’inventario.
Negli Stati Uniti, ad esempio, la maggior parte delle importazioni proviene dalla Cina, ma spesso transita per il Messico e il Canada o per altri Paesi asiatici o est-europei. La pandemia da un anno e mezzo non fa che gettare sassi (stop improvvisi) negli ingranaggi – esasperando una carenza di magazzini, navi e camionisti già grave prima del Covid – tanto che ora il meccanismo è del tutto inceppato, proprio quando la domanda di beni si è impennata grazie al denaro degli interventi pubblici di stimolo negli Stati Uniti e in Europa, al ritorno al lavoro e a un aumento degli acquisti online, che hanno compensato una diminuzione nel consumo di servizi. I ritardi sono particolarmente evidenti perché le aziende negli ultimi decenni hanno tagliato il costo dei magazzini operando con scorte minime e affidandosi a spedizioni ‘just in time’. Le preoccupazioni per la diffusione del virus e delle sue varianti, oltre alla Brexit nel caso della Gran Bretagna, hanno inoltre reso più difficile per i camion attraversare i confini, rallentando ancora di più gli spostamenti di merci. Non è facile inoltre riavviare le fabbriche dopo che sono state chiuse.
(continua a leggere https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/uninsolita-penuria-di-merci-agita-la-societ-dei-consumi)