Pentecoste

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.

Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

Venne all’improvviso

All’improvviso accadde la “pentecoste” … il giorno della festa era già in calendario (Shavuot: sette settimane dopo Pasqua), nel Tempio a Gerusalemme erano già state portate le primizie del raccolto, nelle case iniziava lo studio notturno della Torà. Ma “venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano”: un suono (èchos qui esageratamente tradotto con fragore, quasi un baccano) arriva improvvisamente da riempirne la casa col suo impeto. Dio irrompe nella comunità dei discepoli e interpella quegli uomini per diventare in loro parola capaci di annunciare Gesù Cristo, morto e risorto, l’unico Signore della loro vita.

Erano stupiti

Lo stupore coglie i discepoli, gli uomini di Gerusalemme e il mondo intero: Siamo Parti, Medi, Elamìti … nel breve elenco sono citati i popoli allora conosciuti: “ogni nazione che è sotto il cielo”. Nella Pentecoste è anticipata e annunziata la missione della Chiesa “fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19).

Ancora oggi c’è stupore, troppo spesso perplessità che invece di sfociare nella meraviglia trova rifugio nella paura. Fa paura immaginare l’umanità come un unico popolo di fratelli, senza distinzioni, senza confini, senza velleità identitarie. In questi giorni abbiamo capito (forse) che i confini sono barriere artificiali e inutili: la pandemia non ha guardato in faccia a nessuno e scorrazza libera su tutta la terra, mentre abbiamo capito (forse) che l’unica cosa che ci sta salvando è il “rispetto” dell’altro e di noi stessi. L’uso delle mascherine, la distanza sociale non sono le pretese di una autorità ottusa e prevaricante ma il segno della fraternità che ci unisce.

furono colmati di Spirito Santo

Senza lo Spirito ogni prospettiva di universalità è vana. È lo Spirito che dà alle parole vecchie di duemila anni fa il senso della novità. La fede in Cristo non ci rende archeologi di una storia del passato, né megafoni di parole antiche, neppure ripetitori di gesti e di riti ormai desueti ma, nello Spirito santo, ci rende capaci di fare memoria e su quella memoria comprendere l’oggi… c’è un passato che lo Spirito ci ricorda, ma un oggi che ha bisogno di nuovo e per cui lo Spirito ci insegna ogni cosa. “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future” (Gv 16,12).

Non dobbiamo aver paura delle “novità”; questo tempo nella sua brevità ci ha insegnato cose inimmaginabili prima: quanta pazienza e simpatia scorgiamo nelle lunghe file di attese nei supermercati! Il modo di convivere sta cambiando, le coscienze stanno cambiando, anche la Chiesa dovrà trovare come aiutare a vivere la fede in un mondo cambiato. Dobbiamo lasciarci prendere dall’impeto dello Spirito.

La Parola di Dio e lo stesso Cristo, dopo l’Ascensione e la Pentecoste, non rimangono cristallizzati in moduli culturali e tradizioni dell’epoca, da subito la Chiesa è chiamata dalla storia a sfide nuove (cfr At 10, 44ss); la Parola di Dio e Gesù non si identificano nel modo e nello stile con cui venivano annunciati e celebrati cento o cinquanta anni fa, così come non si identificavano nei moduli culturali in cui Gesù è cresciuto e vissuto nella sua esperienza storica.

li udiamo parlare nelle nostre lingue

La Pentecoste ci costringe a fare uno sforzo di comprensione con chi ci sta vicino, oggi, tanto per fare un esempio è cambiato il modo di comprensione e relazione con chi è considerato “diverso”, pensiamo ai portatori di handicap o al fenomeno della omosessualità o chi è di colore diverso, perché l’umanità sta cambiando. Parlare di Pentecoste non vuol dire fare un discorso “religioso” o “spirituale”, piuttosto portare all’estreme conseguenze il “mistero dell’Incarnazione”. Noi siamo chiamati a parlare “come lo Spirito ci dà da esprimerci” ed accogliere “ciascuno che li sentiva nella propria lingua”. Siamo chiamati ad assumere la diversità come una sorta di provocazione a ricomprendere i nostri rapporti, la nostra fede, il dono (la grazia) di Dio che abbiamo ricevuto, a dare “libertà” allo Spirito che è in noi, che nella diversità “ci ricorda e ci insegna”.

Pentecoste è festa per ogni Comunità in cui lo Spirito è lasciato agire, sostiene l’annuncio del vangelo, raggiunge gli increduli, i superstiziosi, gli indifferenti, gli sfiduciati: è la festa che può realizzarsi ogni giorno.