Papa Francesco, uomo contemplativo: il silenzio che ascolta Dio

Una riflessione sul pontificato di Bergoglio

Nel cuore della modernità frammentata e rumorosa, Dio ci ha donato un pastore silenzioso. Non un Papa spettacolare, non un comunicatore di professione, ma un uomo che ha ascoltato a lungo prima di parlare, che ha scelto la via del cuore prima di quella della scena.

Papa Francesco è stato, prima di tutto, un contemplativo.
Molti lo ricordano per i suoi gesti coraggiosi, per le sue parole dirette, per la sua opzione preferenziale per i poveri e gli scartati. Ma accanto al Papa del popolo, c’è sempre stato l’uomo del silenzio, colui che si inginocchiava davanti al tabernacolo senza dire nulla, colui che ha riportato l’adorazione e la preghiera davanti all’Eucaristia al centro della vita ecclesiale.

Il Papa che adorava in silenzio

Più volte, nei suoi discorsi e nelle sue omelie, Papa Francesco ha invitato i fedeli a riscoprire la preghiera silenziosa, l’adorazione, la contemplazione: “Abbiamo perso il senso dell’adorare. Dobbiamo riprenderlo in mano, in ginocchio davanti al tabernacolo.” (Omelia a Santa Marta, 24 novembre 2016)

Non era un richiamo liturgico, era una conversione ecclesiale. Francesco voleva una Chiesa meno occupata e più abitata. Meno sovraccarica di strutture, e più radicata nel cuore della preghiera. Una Chiesa essenziale, come il silenzio che parla più di mille parole.

Ha voluto che il Sinodo fosse un’esperienza di ascolto. Ha voluto che ogni riforma partisse non da strategie, ma dal discernimento. Tutto questo nasce da una radice profonda: la sua spiritualità ignaziana.

Il Papa che discerneva

Figlio spirituale di Sant’Ignazio, Francesco ha sempre portato con sé la sapienza del discernimento:
ascoltare, custodire, separare, scegliere. La sua era una guida che non imponeva, ma orientava. Una voce che non urlava, ma illuminava. “Il discernimento è il carisma del Papa. È ciò che chiedo più spesso allo Spirito Santo: luce per discernere.” (Intervista al gesuita Spadaro, 2013)

Nella sua predicazione, la preghiera non è mai stata evasione dal reale, ma luogo di lotta e di fiducia.
Ha invitato sacerdoti, religiosi e laici a fare esercizi spirituali veri, a “spogliarsi dell’ego per rivestirsi di Cristo”. Nel suo pontificato, ha riportato al centro il primato della vita interiore, contro ogni attivismo ecclesiale.

Il Papa che taceva per amore

Quando tutto il mondo parlava, giudicava, chiedeva parole… lui spesso taceva.
Il suo silenzio non era vuoto: era preghiera in atto.
Era il silenzio dell’uomo che sa che Dio opera anche quando noi non capiamo.
Era il silenzio di chi sa che la Chiesa non è un’azienda, ma una madre, e che ogni madre sa quando tacere fa più bene che parlare.

Ha scelto di abitare la sofferenza del mondo con discrezione, senza spettacolo. Ha parlato con gesti, come quel 27 marzo 2020, in una piazza San Pietro deserta e carica di pioggia e di grazia.
Quella sera non fu solo un evento: fu un’adorazione pubblica della speranza.

Una Chiesa essenziale, come lui

Papa Francesco ci ha lasciato una traccia di essenzialità.
Non cercava l’applauso, cercava l’anima.
Non voleva una Chiesa potente, ma una Chiesa credibile, santa, ferita e amante.
Non ci ha chiesto di fare di più, ma di essere di più.

Ora che il suo tempo terreno è compiuto, rimane la sua eredità spirituale:
una Chiesa in ascolto, in discernimento, in adorazione.
Una Chiesa che vive il Vangelo più con i piedi scalzi che con le mani alzate.

“Il silenzio di Papa Francesco è stato la sua forma più alta di eloquenza.”

E forse, come Mosè, ha visto la Terra promessa.
Non da protagonista.
Ma da servo umile che ha preparato il cammino per chi verrà.