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Illegali. Non c’è più posto nel mondo per gli armamenti nucleari. È vietato detenerli, non solo utilizzarli. Così è scritto nel Trattato Onu che entra in vigore oggi, a 90 giorni dalla 50esima ratifica – quella dell’Honduras –, del 24 ottobre scorso. Con buona pace del fragile equilibrio garantito della dottrina della deterrenza. E anche delle oltre 1.300 testate chiuse negli arsenali del club atomico: Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, Pakistan, India, Israele e Corea del Nord. Le nove potenze – e i loro alleati, Italia inclusa – non fanno parte dell’accordo che non si applica, al momento, nei rispettivi territori.
Non saranno, però, impermeabili ai suoi effetti, come la storia del disarmo dimostra. Pur senza aderire al divieto, ad esempio, gli Stati Uniti hanno interrotto la fabbricazione di munizioni a grappolo mentre 34 Paesi hanno congelato i movimenti di mine-anti-persona. I trattati di proibizione, inoltre, stringono i rubinetti del credito: gli istituti finanziari spesso scelgono di non investire in «armi controverse».
Abp, uno dei cinque maggiori fondi pensione, ha già chiuso ai produttori nucleari. «Una svolta», come afferma Beatrice Fihn, leader dell’International campaign against nuclear weapons (Ican), promotrice del bando e insignita del Nobel per la Pace nel 2017. Un traguardo per la società civile: in base all’ultimo sondaggio di Ican in Belgio, Danimarca, Islanda e Spagna oltre l’80 per cento dei cittadini sostiene la proibizione. In Italia addirittura l’87 per cento. Qui oggi, dunque, sarà una giornata di celebrazione, con momenti di incontro via Web, e di slancio di «Italia, ripensaci», movimento che chiede di sostenere il Trattato, guidato da Rete italiana pace e disarmo (Ripd) e SenzAtomica, parte di Ican.
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