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Oltre 500 delegati di 50 Paesi si vedranno per riflettere sulle persecuzioni religiose
C’è un’altra pandemia, meno dibattuta del Covid 19, che continua a mordere l’umanità: le persecuzioni religiose. I musulmani in India, Myanmar e Cina; i cristiani in Nigeria e Pakistan; gli yazidi in Iraq e i bahai in Iran, solo per citarne alcune. Il Pew Research Center di Washington ha stimato che i due terzi della popolazione mondiale soffrono una qualche forma di limitazione del credo. Un’emergenza vera e propria, sottolinea Tariq Ahmad, ministro degli Esteri con delega ai diritti umani, «troppo a lungo dimenticata». La quarta Conferenza internazionale sulla libertà di religione, in programma a Londra martedì e mercoledì, intende riportare il nodo all’attenzione della comunità mondiale, concentrata oggi sulla guerra in Ucraina, dopo i vertici ministeriali organizzati negli Stati Uniti, nel 2018 e 2019, e in Polonia nel 2020 (in forma virtuale). L’evento porterà Oltremanica più di 500 delegati da 50 Paesi.
Lord Ahmad, come sono cambiate le persecuzioni religiose in questi ultimi anni?
Il modo in cui il fenomeno si è evoluto riflette le trasformazioni del mondo e della società. Penso, per esempio, ai problemi legati all’uso del web e dei social network come strumenti aggiuntivi degli attacchi rivolti a determinate persone o comunità. Gli stessi utilizzati anche dagli estremisti a dividere società e opinione pubblica di diversi Paesi. Penso, inoltre, che alle discriminazioni contribuisca anche un alto livello di ignoranza. Non mi riferisco all’istruzione di base in senso stretto ma alla mancanza di conoscenza religiosa. Dei principi base di ogni credo, quelli su cui si basa il rispetto altrui.
Dove i cristiani sono oggi più a rischio?
Le comunità cristiane continuano ad essere prese di mira dalla feroce organizzazione islamista del Daesh. Eppure, certa propaganda propugna l’idea che ci sia una scelta: conversione o morte. È la stessa narrativa già sentita in Iraq che stiamo in parte, tragicamente, tornando a rilevare anche in Afghanistan con il ritiro delle truppe Nato.
Si dice che la libertà di religione si basa su stabilità politica e sviluppo economico. Pensa che la guerra in Ucraina possa compromettere il dialogo interreligioso?
Diverse agenzie di intelligence degli Stati Uniti hanno accertato che vari luoghi di culto sono stati presi di mira. Purtroppo, questa è una constatazione. E una sfida per i leader delle comunità religiose che sentono il bisogno di difendere pubblicamente la propria fede, non l’appartenenza politica. Sfortunatamente, è noto, le differenze si amplificano nell’ambito di un conflitto. È già successo.
Il Regno Unito è alle prese con un controverso piano di deportazione dei migranti in Ruanda. Come questa iniziativa si concilia con l’impegno a difendere e promuovere i diritti umani?
Sono due questioni separate. Siamo un Paese che ha sempre protetto le vittime di persecuzione e continueremo a farlo. L’obiettivo del piano è fermare la tratta illegale di esseri umani. Il Regno Unito è e rimarrà, il luogo in cui le persone in fuga da qualsiasi tipo di violenza, inclusa quella religiosa, troveranno rifugio. Guardi alla ricca diversità culturale delle nostre città: è la forza intrinseca della nazione. Un fenomeno che speriamo possa durare ancora a lungo.