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Nocilla: «L’odio non si cancella per decreto
La minaccia di una pena non è mai uno strumento idoneo a diffondere in una società civile uno strumento di tolleranza e di rifiuto dell’odio e dello scarto. E se è vero che come cristiani dovremmo essere contenti per l’introduzione di tutele più stringenti per i soggetti più deboli, è altrettanto vero che il ddl Zan è un progetto di legge squilibrato che presenta vari profili di rischio. Ne è convinto Damiano Nocilla, costituzionalista, già segretario generale del Senato, capo dell’Ufficio legislativo della Presidenza del Consiglio, ora presidente dell’Unione giuristi cattolici.
La ‘clausola salva idee’ introdotta all’articolo 2 del ddl Zan grazie all’emendamento proposto da Forza Italia dovrebbe essere ulteriormente chiarita. Ritiene adeguata questa nuova proposta?
La strada maestra che il legislatore dovrebbe percorrere è quella della revisione dell’intero testo dell’art. 604 bis c.p., sciogliendo le ambiguità che esso contiene. L’aggiunta da parte della Commissione Giustizia dell’art. 3 al testo delle proposte Zan costituisce un passo in direzione della necessità di affrontare certi problemi non considerati sinora dal legislatore. Essa comporta tuttavia ulteriori ambiguità. Mi spiego. L’ inserimento della ‘clausola salva idee’ solo nella legge speciale (come vuole la lettera del suddetto art. 3) limita innanzitutto l’esclusione dai rigori della legge penale al solo pensiero fondato sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere; per tutti gli altri motivi previsti dall’art. 604 bis c.p. («razziali, etnici, nazionali o religiosi ») il confine tra manifestazione di idee o opinioni ed istigazione alla discriminazione resterebbe assolutamente incerto. Inoltre la ‘clausola salva idee’ (che costituisce un’esimente dal reato di istigazione alla discriminazione) dovrebbe trovare, per il principio della riserva di codice, ampollosamente introdotto dal d.lgs. n. 21 del 2018, collocazione all’interno del medesimo codice penale. Quanto al modo con il quale è espressa la nuova esimente non mancano ragioni di perplessità. Mi sembra chiaro che, quando si dice «sono consentite le libere espressioni di convincimenti e opinio- ni», si vuole evitare che la legge incorra in un’evidente violazione della libertà di manifestazione del pensiero. Ma, quando alla libera espressione di opinioni si aggiungono «le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee ed alla libertà delle scelte», si rischia di dire tutto e il contrario di tutto. Siamo tutti concordi sul fatto che ci sono condotte che devono essere salvaguardate, ma dobbiamo essere consapevoli che ogni condotta è riconducibile al pluralismo delle idee, visto che dietro ogni azione, anche la più brutale e istintiva, c’è una volontà e, quindi, un pensiero. Certo! Nel caso dell’art. 3 si chiede ancora che la condotta sia legittima: ma allora l’art. 604 bis c.p. (almeno nella parte relativa all’orientamento sessuale) sembra non tanto configurare un’autonoma ipotesi di reato, quanto piuttosto il mero rafforzamento, attraverso la sanzione penale, di illegittimità precedentemente e diversamente sanzionate dall’ordinamento giuridico. A questa stregua risulta in qualche modo mutata radicalmente la logica, che sottende al provvedimento di cui si discute. Il testo che il parere della 1ª Commissione della Camera vorrebbe fosse introdotto, mi sembra, a una prima lettura, più preciso e più facilmente comprensibile, e la sua formulazione più idonea a che esso integri con un comma aggiuntivo l’art. 604 bis c.p.
Anche se fosse approvata questa formulazione più estesa, il compito di distinguere tra «condotte legittime riconducibili alla libertà delle scelte» e l’istigazione alla violenza o all’odio spetterebbe sempre al giudice. C’è un criterio sicuro per distinguere opinioni e odio?
In presenza di formulazioni legislative vaghe e imprecise, il compito di riempire le parole della legge di significati concreti non potrà che essere demandato alla giurisprudenza. Il che la nostra Cassazione ha cercato di fare (vedi ad esempio la sent. della V Sez. pen. n. 32862 del 7 maggio 2019), richiedendo però che la diffusione d’idee abbia requisiti tali da avvicinarla molto all’istigazione, con il rischio tuttavia che i futuri giudici di merito e di legittimità finiscano per ritenere sufficiente la sussistenza di quei requisiti per ravvisarvi un’istigazione. In altri termini: tra la diffusione di pensiero omofobo, con quel che segue, e l’istigazione a commetter atti di discriminazione per i medesimi motivi, il confine è mutevole, labile, evanescente, incerto.
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