Migranti

Come ogni autunno nella foresta di Bialowieza le autorità bielorusse preparano il capanno di “Dzied Maroz”, il “Nonno Gelo” che preannuncia l’inverno e le gite dei bambini in cerca del “Babbo Natale” slavo. A poca distanza altre famiglie contano già cinque morti per freddo e fame. Tutti profughi.

Nella terra di nessuno sul confine con la Polonia decine di persone sono ancora disperse. Respinte dai gendarmi polacchi, intrappolate dai militari bielorussi. Le stime sui decessi sono da considerare al ribasso, suggeriscono i volontari di Ocalenie, una fondazione umanitaria polacca. Citano un episodio che ancora li angoscia. La telefonata di una famiglia respinta nel bosco: «Dicevano che il figlio di 16 anni vomitava sangue». I soccorsi non sono stati permessi. Al mattino dopo si è appreso che il ragazzo era morto. Di molti altri non si sa nulla. Nella boscaglia anche le batterie dei telefoni sono oramai esauste. Nella radura si fa a turno per accendere il cellulare e fare arrivare il messaggio oltre la nuova cortina, issata per rispondere alla rappresaglia del dittatore Lukashenko che anche attraverso voli diretti dall’Iraq continua ad attirare profughi da spingere verso quell’Unione europea che ha imposto sanzioni al regime.

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