Maria Vingiani e le vie dell’incontro

Presso l’Aula Magna del Seminario di Livorno, si è tenuto l’incontro conclusivo del ciclo di conferenze organizzate dall’Associazione Alberto Ablondi, in collaborazione con la Diocesi di Livorno, con il  Segretariato Attività Ecumeniche di Livorno, e con l’Associazione Amici del Quilici che aveva come tema “Ripartiamo dal dialogo”.

Quest’ultimo incontro introdotto  e coordinato dalla responsabile del SAE di Livorno, Francesca del Corso, ha visto gli interventi di Simone Morandini, docente e vicepresidente dell’Istituto di Studi ecumenici “San Bernardino” in Venezia e membro del Comitato Esecutivo del SAE e della professoressa Silvia Baldi dell’Amicizia Ebraico Cristiana di Firenze.

Questo incontro ha voluto fare memoria di Maria Vingiani (1921-2020), una pioniera e artefice del cammino di riconciliazione tra le Chiese Cristiane e del dialogo tra queste e l’ebraismo la quale dopo il Concilio Vaticano II dette vita ad un gruppo di laici, dapprima cattolici e poi evangelici con cui nell’agosto del 1964 organizzò la prima sessione teologica del SAE.

Simone Morandini che ha ben conosciuto Maria Vingiani, ne ha sottolineato la forte personalità e la sua determinazione affinché l’associazione avesse un suo statuto “laico e democratico”, come una forma di protezione nei confronti delle ingerenze ecclesiastiche. Essa infatti voleva veder riconosciuto il diritto a vivere responsabilmente “nella Chiesa una ricerca o una vocazione in libertà di coscienza”. Essa rimase alla presidenza del SAE fino al 1990 e ha contribuito in modo importante alla penetrazione in Italia  delle istanze del movimento ecumenico, dando origine ad uno spazio di libertà dove il contributo di teologi e laici di ogni confessione “si è intrecciato a formare un tessuto di grande ricchezza teologica e di saggezza pastorale”. Essa ha inoltre contribuito a far si che il magistero conciliare di Unitatis redintegratio penetrasse nella Chiesa  specie riguardo la profonda dottrina  dei numeri 6 e 7 del Decreto che ispireranno i principi metodologici del SAE quando troverà la sua maturazione. Importante questo passaggio: “Riteniamo che l’unità della Chiesa è un dono dello Spirito Santo e quindi un compito del popolo di Dio che emergono e si delineano nel rinnovamento. Così ancora riteniamo che il rinnovamento è un dono dello Spirito Santo e un compito del popolo di Dio che si realizzano, genuinamente ed efficacemente, in un moto che possa far convergere verso l’unità anche le nostre più profonde differenze, facendole passare da contrapposizione a complementarietà”.

La professoressa Silvia Baldi ha sottolineato come il SAE affonda le proprie radici nell’ebraismo; infatti si definisce “Associazione interconfessionale di laici per l’ecumenismo e il dialogo a partire dal dialogo ebraico-cristiano”. Facendo un’analisi storica del cammino compiuto  a partire dalla Shoah dobbiamo tenere presente quante difficoltà, quante impostazioni soprattutto teologiche la Chiesa ha dovuto e deve superare per rendere possibile una nuova rispettosa relazione con gli Ebrei; e da parte ebraica quanti disperati ricordi di menomazioni, persecuzioni e anche torture debbono essere superati per capire ed accettare questo felice cambiamento. L’Ebreo in realtà sente che l’origine dell’antisemitismo serpeggiante è ancora e sempre la Chiesa Cattolica, o meglio un po’ tutte le Chiese Cristiane, che non sono mai riuscite a definirsi, se non in opposizione a qualcosa, cioè all’Ebraismo. Jules Isaac, la cui famiglia fu sterminata ad Auschwitz, sarebbe ritornato solo con  il figlio minore, nel 1947 quando pubblicò Gesù e Israele e invitò gli ebrei a riappropriarsi della figura di Gesù, sollevò uno scandalo e non bastando fu tra i promotori, nel 1947, dell’associazione Amitié Judéochrétienne, dedicata ad approfondire e a superare le cause sociali e religiose dell’antisemitismo e a promuovere l’amicizia ebraico-cristiana. L’incontro con Maria Vingiani fu determinante.

Si erano conosciuti a Venezia il 16 settembre 1957. Lui nella laguna per motivi culturali insieme al figlio sopravvissuto alla Shoah, lei giovane assessore alle Belle Arti della “Serenissima”. Lui le aveva donato il suo Jésus et Israel – definito “il grido di una coscienza indignata” – l’aveva messa al corrente dei suoi studi sull’antisemitismo, della sua passione per la verità, e della missione che si era dato:  far conoscere Gesù agli ebrei, Israele ai cristiani. Lei gli aveva parlato dei suoi impegni culturali e religiosi, e del patriarca di Venezia, Angelo Giuseppe Roncalli, che proprio l’anno prima aveva dedicato la sua lettera pastorale per un rilancio della conoscenza della Bibbia:  “tutta la Bibbia, Antico e Nuovo Testamento”, da rendere “d’uso comune e familiare”. L’incontro fra Jules Isaac e Roncalli avvenne alla vigilia del Concilio  che poi porterà alla Dichiarazione Nostra Aetate.

Maria Vingiani sentirà la responsabilità dei cristiani nei confronti degli ebrei e spesso nei suoi interventi ricordava che c’è una radice da cui siamo portati: “Siamo rami, siamo albero biblico, siamo membri di questa grande famiglia di Abramo insieme agli ebrei, insieme ai musulmani, tra cristiani divisi e diversi e questo deve responsabilizzarci”.

Durante l’incontro sia i relatori che i presenti hanno poi ricordato l’amicizia tra Maria e Monsignor Alberto Ablondi. La proposta, nata all’interno del SAE, di istituire una giornata dedicata al dialogo ebraico-cristiano, fu assunta ufficialmente dalla CEI nel 1989 grazie all’apporto determinante e al legame da lei instaurato proprio con mons. Alberto Ablondi. 

Tanti sarebbero gli aspetti ancora da approfondire di questa piccola grande donna, ma forse senza toglierle niente possiamo riconoscere che ha fatto spazio ad una nuova coscienza di sé del cristianesimo, radicato nell’ebraismo e questo è solo uno dei grandi doni dovuti alla sua perseveranza.