News
L’intervista al già presidente della Consulta Flick
«Mi sembra che per ostacolare i salvataggi in mare si sia scelta una via tipicamente italiana e burocratica: il ricorso a ordini e sanzioni amministrativi. Esempio: anziché assegnare il porto sicuro più vicino, come previsto dalle norme nazionali e internazionali, si indica il porto “burocraticamente” più vicino; si utilizza la nostra nota “efficienza amministrativa” allo scopo di ostacolare i soccorsi in mare». Già presidente della Corte Costituzionale e in precedenza Guardasigilli nel primo governo Prodi, il professor Giovanni Maria Flick in questa intervista ad Avvenire passa al setaccio il decreto sulle Ong, e guarda oltre. Fino al rischio di replicare questa modalità e farla diventare “sistema” per aggirare gli obblighi di legge. « E’ ovvio che assegnando porti di sbarco lontanissimi, quasi ai nostri estremi confini marittimi, si vuole tenere occupate a lungo le navi umanitarie, impedendo loro di navigare nel Mediterraneo centrale per salvare altre vite o – secondo qualcuno – per pretesi ignobili accordi con trafficanti di uomini».
Non crede che il salvataggio sia messo in discussione anche da altri paletti posti nel decreto?Si pongono limitazioni incomprensibili, come quella di impedire salvataggi plurimi. Se una nave soccorre un gruppo di naufraghi e lungo la rotta verso il porto di sbarco avesse la possibilità di salvare altre vite, dovrebbe voltarsi dall’altra parte? Stiamo parlando dell’assurdo.
Qual è secondo lei la logica di queste scelte?L’osservazione più precisa è venuta dalla Conferenza episcopale italiana: ha ricordato come queste regole non proteggono il valore supremo della vita umana. Si è passati dal non considerare più i migranti-naufraghi come fossero “oggetti” da depositare in luoghi dove non si rispettano i diritti fondamentali, al trattarli come “merce deperibile” o peggio “rifiuti pericolosi”, adempiendo formalità burocratiche che servono solo a mettersi la coscienza a posto. In altri termini, si sottrae l’intervento al controllo penale, con la previsione di fattispecie di reato, temendo che queste vadano a scontrarsi con i principi fondamentali dell’ordinamento internazionale e costituzionale che pongono al primo posto la protezione della vita umana.