L’intervista a Truffelli

Un Progetto formativo «aggiornato», al passo cioè con «i cambiamenti sociali, culturali e della comunicazione di questi ultimi 15 anni». Ma soprattutto un Progetto «collocato dentro il solco del magistero di papa Francesco». Così Matteo Truffelli, presidente nazionale dell’Azione Cattolica, definisce il documentoPerché sia formato Cristo in voi (pubblicato dall’editrice Ave) che viene presentato oggi. Oltre cento pagine che ridisegnano da un lato il lavoro dei formatori, ma che dall’altro è offerto come patrimonio comune all’interno della più antica aggregazione laicale italiana, da sempre palestra di christifideles laici in dialogo con il mondo. Perciò Truffelli, 50 anni, docente di storia delle dottrine politiche all’Università di Parma, sottolinea: «Con questo Progetto vogliamo diventare sempre più discepoli missionari ».

Presidente, si nota in questa affermazione l’eco dell’insegnamento del Papa. In quali modi Francesco è “entrato” nel nuovo Progetto formativo?

In diversi modi. Innanzitutto per lo sguardo alla realtà, che abbiamo cercato di rendere più contemplativo, cioè più capace di vedere nella realtà il bene già all’opera, piuttosto che l’idea di portare noi il bene nel mondo. E poi, come dicevo, la necessità di essere discepoli missionari, quindi sempre bisognosi di formazione, ma anche sempre tutti missionari, a ogni età, in ogni condizione e momento del percorso formativo. In altri termini una formazione pensata non come fase di preparazione alla missione o alla vita, ma come qualcosa che è un tutt’uno con il vivere e con il farsi missionari. Una formazione missionaria e una missionarietà a sua volta formativa.

Al centro del Progetto è posto l’essere “formati a immagine di Gesù”. Che cosa significa in pratica?

Pensare la formazione come un far crescere nella vita di ogni credente la presenza di Gesù, che dà forma alla nostra esperienza di fede, di cittadini, di laici nella famiglia, nel luogo di lavoro nel tempo libero e in ogni altro ambito. In sostanza far crescere nelle persone la forma che Gesù dà alla nostra vita. C’è necessità di credenti che si mettono a servizio del proprio tempo, della realtà in cui sono immersi, delle persone con cui entrano in relazione, e dentro la quotidianità sperimentano la presenza del Signore che ci accompagna, condividendo con chiunque la gioia di questa presenza.

Alla luce di questo conformarsi a Cristo c’è un tratto distintivo, una sorta di identikit del fedele laico di Ac?

Il laico di Ac coltiva la propria vita interiore, personalmente e in maniera comunitaria. Traduce la propria formazione in fraternità, in esperienze di condivisione, di solidarietà, di vicinanza. È un laico che sente in maniera forte la responsabilità verso se stesso, verso il creato, verso la città, e vive in maniera intensa un senso di ecclesialità come corresponsabilità per la missione evangelizzatrice della Chiesa, convinto che questa corresponsabilità non possa che passare attraverso un’autentica sinodalità, di cui l’Ac è autentica palestra.

Questo Progetto formativo rappresenta una svolta rispetto alla “scelta

religiosa”, che tanti dibattiti aveva suscitato a suo tempo, o si pone in linea di continuità?

È un Progetto ancorato sul paradigma autentico della scelta religiosa. Cioè la consapevolezza che ciò di cui ha più bisogno il nostro tempo è il Vangelo, il seme di vite formate secondo la novità evangelica. Ben sapendo che il Vangelo non si vive solo a parole e neppure individualmente, ognuno per sé, ma impegnandosi insieme nella storia. Direbbe papa Francesco: la fede non può che avere conseguenze sociali. E quindi c’è tutta un’ampia parte dedicata all’importanza dell’impegno sul piano temporale.

E fra le conseguenze sociali c’è anche l’impegno politico?

Innanzitutto c’è una formazione di tutti i laici a essere cittadini consapevoli, critici, appassionati e generosi, anche coloro che non fanno politica attiva. Dentro questa formazione, che è parte integrante del nostro Progetto formativo, c’è anche la formazione, l’accompagnamento e il sostegno grato aquelle centinaia di nostri aderenti che si impegnano direttamente in politica. Ma ciò che forma di più a quel tipo di impegno è la stessa esperienza associativa, che è un’esperienza di responsabilità e di corresponsabilità, di gratuità e di senso del limite del proprio impegno. Tutte dimensioni che in associazione si vivono comunemente e che formano a fare politica nel modo migliore.

Sta forse maturando il tempo di ripensare a una qualche forma di unità politica dei cattolici?

Il problema non è se è tempo di unità partitica, ma di partire dalla domanda: il Paese in questo momento di che cosa ha bisogno? Di un partito identitario in cui i cattolici possano riconoscersi e sentirsi a proprio agio, per poter portare il proprio contributo, o invece di qualcuno che faccia buone proposte e sappia aggregare attorno ad esse culture e pensieri differenti? Come credenti, dobbiamo saper tradurre politicamente le idee, le esperienze, le competenze di cui siamo portatori, ma con l’ambizione di costruire insieme ad altri. È il tema del dialogo autentico e costruttivo, che occupa un ruolo centrale anche nel capitolo della Fratelli tutti dedicato alla politica.

Uno dei paragrafi del Progetto si intitola “A servizio di ciò che è essenziale”. In conclusione, che cosa è essenziale oggi?

Credo che sia gettare nella vita del mondo, cioè delle persone, delle comunità e dei territori la speranza che nasce dal Vangelo.