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L’intervista a don Fiordaliso
Nei giorni scorsi la cronaca ha raccontato di ribellioni e gravi tafferugli in alcune carceri italiane, scoppiate in seguito all’emergenza Corona Virus e alla restrizione dei colloqui con i parenti in visita ai detenuti. Abbiamo intervistato don Francesco Fiordaliso, cappellano del carcere di Livorno per sapere come i detenuti delle Sughere stanno affrontando questo momento di emergenza.
Don francesco come si vive nel carcere la paura del contagio? Prima di tutto, vorrei premettere che sono solo pochi mesi che ho cominciato questa avventura del servizio come cappellano all’interno del carcere di Livorno, per ora mi sto rendendo conto che il carcere è una realtà articolata, complessa e, sicuramente, interessante, ma ancora mi sento un novellino, ancora non so se ho capito bene le varie dinamiche e se sono in grado di dire realmente l’aria che tira oggi in carcere. Diciamo che ho contatti e colloqui con molti dei ragazzi (io li chiamo così), in diversi partecipano alla Messa e chiedono di parlare con me, con molti di loro c’è un rapporto di confidenza e fiducia, anche con coloro che hanno altre esperienze religiose, però mi sembra ancora insufficiente per avere un’idea completa della realtà del carcere.
Dico questo perché non ho la pretesa di dire come si vive in carcere a Livorno questo periodo, posso dire come la vivono quelle persone con cui ho maggiore conoscenza e confidenza, non posso parlare del carcere in assoluto, posso solo raccontare il mio punto di vista che, anche se non è completo, però qualche cosina mi fa vedere.
Premesso questo, i ragazzi vivono questo periodo particolare del nostro paese da una parte con un senso di incredulità, non riescono a credere che le persone non possano uscire di casa, che i negozi siano chiusi, che, chi non è in carcere, debba essere limitato nella propria libertà; in genere, per i detenuti, le persone che non sono in carcere hanno la fortuna di godere sempre di grandissime libertà che invece a loro sono negate per questo non riescono a credere che per paura del contagio la gente non sia libera di andare in giro, fanno fatica a capire perché le attività in carcere siano state sospese, perché le persone non possano incontrarsi liberamente.
Dall’altra parte però, in diversi, hanno capito la pericolosità di questo virus e si rendono conto che, qualora il virus entrasse in carcere, in poco tempo sarebbero tutti contagiati, per questo hanno accolto le restrizioni, in particolare la sospensione dei colloqui con i parenti, come un provvedimento a loro tutela. Inoltre, il poter sostituire i colloqui con le telefonate ha alleviato la sofferenza di non poter vedere i propri cari.
In altre carceri italiane la situazione si è fatta molto drammatica nei giorni scorsi, come hanno reagito i detenuti di livorno?Come ho detto, non sono un esperto di vita carceraria, però bisogna capire che la vita in carcere non è facile, il tempo non passa mai, lo spazio è ristretto e la privacy è un sogno, per questo motivo certe opportunità, anche piccole, sono accolte dai ragazzi come possibilità di respiro, di pensare ad altro, di avere possibilità di uno sfogo. Così, per loro, entrare in contatto con altre persone è un’opportunità meravigliosa, stringere una mano, dare un abbraccio è un’occasione di contatto umano, è un modo per sentirsi ancora considerati come persone, avere contatti con il mondo esterno li aiuta a sopportare il dover stare chiusi.
In realtà, questa cosa mi ha colpito da subito, fin dai primi giorni che frequentavo il carcere, i ragazzi hanno sempre cercato con me una stretta di mano, un abbraccio, un rapporto di vicinanza, mi colpiva questo cercare sempre la mia mano per stringerla, anche solo se ci incontravamo in corridoio. È interessante questa voglia di contatto perché li fa sentire capaci di umanità, li fa sentire considerati come persone, li fa sentire accolti. Capite bene che, in questo periodo, non poter dare la mano, non poter scambiare un abbraccio è una limitazione pesante per loro. Anche il non poter vedere i propri cari è un peso, perché li fa sentire ancora di più lontani, esclusi. Teniamo anche presente che, dai primi di marzo, ogni attività e ingresso esterni, escluso il personale, sono sospesi e quindi sentono ancora di più il distacco con la realtà esterna, anche alcuni servizi di assistenza messi in atto dalla caritas sono rallentati e questo mette a dura prova la pazienza dei ragazzi. A me è stata concessa dall’amministrazione carceraria la possibilità di continuare ad incontrare i ragazzi, ad ascoltarli e ad accogliere i loro bisogni e i loro sfoghi, però la situazione è dura.
Però, per quanto sia difficile, la situazione in carcere a me sembra tranquilla, non mi sembra che ci siano stati particolari episodi, i ragazzi sembrano aver capito e accettato questa situazione, capiscono che non è bella ma che anche loro devono fare la propria parte, alcuni con cui ho parlato hanno anche espresso il proprio rammarico per quanto successo in altre carceri riconoscendo che la violenza non è mai portatrice di bene, anzi peggiora ancora di più le cose.
Altri hanno chiesto di pregare per le persone fuori esposte al contagio, e altri ancora mi hanno detto che pregano ogni sera per i propri cari ma anche perché questa situazione possa risolversi prima possibile
E il personale di sicurezza? Come vive questi giorni? È chiaro che tutti quanti sentiamo la responsabilità di tenere al sicuro i ragazzi e evitare loro un contagio che sarebbe terribile, per questo sono aumentati i controlli, sono limitati i contatti, anche i movimenti all’interno del carcere sono più complicati, però sto notando che il personale ha comunque con i ragazzi un rapporto che cerca di comprendere le loro difficoltà e, per quanto possibile, cerca di venire loro incontro per alleviare questa situazione di difficoltà e limitazione che, in un ambiente già limitante di per sé, come il carcere è chiaramente sentito come maggiormente pesante.