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Le raccomandazioni dell’Europa
La Commissione Europea, nei giorni scorsi, ha inviato, come viene fatto periodicamente, raccomandazioni specifiche ai diversi paesi, indicando, per ognuno di questi, orientamenti di politica economica nel contesto della pandemia di #coronavirus, concentrandosi, ovviamente, sulle sfide più urgenti e sul rilancio di una crescita sostenibile.
Sono, in questo quadro, due gli obiettivi indicati nelle Raccomandazioni: uno, a breve termine, che si propone di attenuare le gravi conseguenze socioeconomiche negative della pandemia di coronavirus ed un secondo, a breve-medio termine, che fornisce indicazioni su come realizzare una crescita sostenibile e inclusiva in grado di favorire, tra le altre cose, l’auspicata transizione verde e l’inevitabile trasformazione digitale.
Con specifico riferimento al nostro paese si evidenzia come, per il futuro, al fine di promuovere una ripresa sostenibile e inclusiva, sia fondamentale una maggiore integrazione nel mercato del lavoro delle donne e dei giovani attualmente inattivi.
L’Europa in questi “consigli non richiesti” sottolinea, tra i vari aspetti, come, negli ultimi anni, siano state adottate misure volte a rafforzare i servizi pubblici per l’impiego ed a integrarli meglio con i servizi sociali, l’apprendimento degli adulti e la formazione professionale.
Bruxelles riconosce, allo stesso tempo, che la capacità di collocamento, e (ri)collocamento, nel mercato del lavoro sia restata, tuttavia, abbastanza modesta e notevolmente diversificata, per un insieme di motivi, da regione a regione. In questo quadro, inoltre, anche il coinvolgimento dei datori di lavoro è rimasto, evidenzia la Commissione, marginale.
L’approccio, poi, alle sfide del prossimo futuro (presente?) sembra essere, per onestà intellettuale, un po’ diverso.
Mentre qui in Italia infuria il dibattito sui monopattini e gli assistenti civici a Bruxelles sottolineano come l’emergenza attuale mostri, in maniera drammaticamente chiara, la necessità di migliorare l’apprendimento e le competenze digitali dei nostri concittadini, in particolare per quanto riguarda gli adulti in età lavorativa e l’apprendimento a distanza. Investire nell’istruzione e nelle competenze si ritiene, infatti, fondamentale per promuovere una ripresa intelligente e inclusiva e per mantenere la rotta verso la transizione verde e digitale.
Il #coronavirus, infatti, ha colpito, nel nostro caso, un paese già in profonda crisi.
Il conseguimento delle competenze di base infatti, come noto, varia notevolmente tra le regioni e il tasso di abbandono scolastico è, ahimè, ben al di sopra della media dell’Unione (13,5 % contro 10,3 % nel 2019), in particolare per gli studenti stranieri non comunitari che vivono nel nostro paese (33 %).
Dovrebbe, insomma, secondo l’Europa essere particolarmente importante per tutti investire nell’apprendimento a distanza, nonché nelle infrastrutture e nelle competenze digitali di educatori e studenti di tutte le età.
L’Italia ha, infatti, una percentuale di laureati in scienze e ingegneria significativamente inferiore alla media dell’Unione ed il tasso di istruzione terziaria rimane molto basso (solamente il 27,6 % nel 2019).
Inoltre, rispetto a paesi comparabili, in Italia le imprese, ma la cosa non dovrebbe stupire, investono meno nella formazione in materia di tecnologie dell’informazione e della comunicazione per i loro dipendenti. Anche il basso tasso di partecipazione degli adulti scarsamente qualificati alla formazione è preoccupante, data la progressiva diminuzione dei posti di lavoro che richiedono basse qualifiche.
Il miglioramento delle competenze e la riqualificazione professionale infatti, ci viene ricordato, continuano, quindi, a essere più che mai cruciali per consentire ai lavoratori di acquisire competenze rilevanti per un mercato del lavoro in profonda trasformazione.
Questi temi sembrano essere rimasti, onestamente, fuori dal corposo decreto #rilancio (forse con l’eccezione del Fondo per le nuove Competenze) e, certamente, non sono presenti nel dibattito politico.
Sembra, insomma, che si sia persa l’ennesima occasione per provare a ragionare su “come” ripartire e immaginare l’Italia del futuro e per scommettere su un paese “competente” in grado di rispondere in maniera intelligente alle sfide del presente e dell’avvenire anche quando, auspicabilmente presto, il covid19 ci lascerà.