La verità del paradosso

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».  Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

tutti i pubblicani e i peccatori

Luca usa un linguaggio paradossale, la scena che racconta e le parabole sono paradossali. Ma è proprio la distanza tra la realtà e il paradosso che ci dà la dimensione della “verità” che l’evangelista racconta, l’ampiezza della misericordia di Dio: “la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù” (1Tm 1,14).

Inizia dicendo che “tutti” i pubblicani e peccatori si avvicinavano a Gesù: quel “tutti” è sicuramente una espressione esagerata ma certamente è la misura della accoglienza che il Signore manifestava nei confronti di quelli che, invece, erano scartati da coloro che neanche hanno il coraggio di manifestare apertamente il loro pensiero e mormoravano.

Gli esponenti della religiosità giudaica mostrano stupore perché “accoglie i peccatori”, infrangendo la separazione religiosa a cui erano destinati; non castiga, non sanziona, non giudica e non allontana, anzi, è ben disposto nei confronti di questi scartati, mostra attenzione, non disdegna di averli al suo seguito; “mangia” con loro attingendo dallo stesso piatto, segno questo di condivisione non solo del cibo ma anche dello stesso modo di pensare o di vivere.

e ne perde una

L’altro paradosso nel racconto delle due parabole è la disattenzione dei protagonisti: il pastore e la donna. La pecora è miope, il suo campo visivo è limitato, è facile per lei attardarsi e perdere il contatto con il gregge; la moneta è tonda e, una volta sfuggita di mano, rotola e si infila in qualche anfratto tra le pietre sconnesse del pavimento. È il Pastore che perde la pecora, come la donna che perde la moneta, non è raccontata alcuna responsabilità in chi si è perduto, non c’è colpa; uscendo dall’immagine è il Signore che smarrisce il peccatore, è una sua disattenzione che non ha permesso al suo amore di raggiungere l’uomo tanto da perdersi. In una sola affermazione, ripetuta per due volte, ci è raccontato il dramma dell’uomo e la partecipazione di Dio a questo dramma. L’uomo è talmente miope, segue il suo istinto, i suoi desideri, non percepisce l’amore di Dio, come una moneta rotola tra le pietre sconnesse della vita per finire negli angoli nascosti della società e della storia.

cerca

Nelle due parabole è il pastore che “lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta”, come è la donna che accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente.

Nelle due parabole chi è perduto non deve fare nulla se non aspettare di essere trovato: questo atteggiamento passivo è proprio il contrario di quanto generalmente viene affermato in ambito religioso: siamo, infatti, convinti che sia compito dell’uomo cercare di piacere, convincere, fare ogni sforzo per muovere a compassione Dio. Nelle due parabole c’è un altro paradosso: si racconta della gioia per il ritrovamento – rallegratevi con me – che è specchio della gioia nel cielo, davanti agli angeli di Dio a causa di un solo peccatore che si converte. Sembra quasi di trovarci davanti ad uno sbaglio perché il verbo “convertirsi” di solito è associato a una volontà, alla azione, l’impegno di chi intraprende un cammino di conversione, invece, nelle due parabole è Dio che fa tutto, cerca, cammina, fa luce, si impegna, agisce “finché non la trova “… l’uomo deve semplicemente lasciarsi amare da Lui. Le parabole raccontano della ricerca di chi è perduto fatta con lo slancio del pastore e la sistematicità della donna; il Signore è continuamente alla loro ricerca, li accoglie e vive in mezzo a loro, si confonde con i peccatori fin dal Battesimo (cfr. Lc 3,21). Lui si è fatto uomo per essere vicino ad ogni uomo, ha sofferto l’emarginazione per essere vicino ad ogni scartato dalla vita, ha sofferto le conseguenze del peccato per essere vicino ad ogni peccatore, ai rifiutati perché sono figli di Dio perduti due volte: per le loro vicissitudini personali e per l’esclusione da parte di coloro che si ritengono “giusti”.

Rallegratevi

Sull’esempio di Gesù dovremmo essere capaci di mangiare con i peccatori, per condividere con gli altri la misericordia che abbiamo ricevuto non per nostro merito perché cercati e amati da Dio. Dovremmo entrare nel mondo degli altri, sporcarsi le mani, senza scusare il peccato ma testimoniando l’amore che guarisce. Rallegrarsi con lui ci fa condividere, qui sulla terra, la vita del Paradiso, perché partecipi della logica della Misericordia di Dio.