La sfida degli Stati Generali

Per chi ci crede – e da anni ha fatto del tema la sua battaglia sociale e culturale prioritaria – «si può fare». Si può, nonostante i dati dell’Istat certifichino lo choccante declino demografico del nostro Paese, invertire la rotta della natalità. Si può, in un’Italia che non riesce a dare lavoro ai propri giovani perché costruiscano una famiglia (e in cui quelli che lavorano una famiglia non possono permettersi di costruirla), dare speranza. Si può, visto che altri Paesi in Europa l’hanno fatto e lo stanno facendo, cambiare le regole. Basta volerlo. E il punto, alla fine, è sempre questo: fare delle belle parole che larga parte del mondo politico pure spende sul tema della natalità interventi concreti, misure adeguate, sostegni, conciliazione. È la proposta che campeggerà sul tavolo degli Stati generali della natalità convocati in seconda edizione i prossimi 12 e 13 maggio a Roma, e presentati ieri a Milano dalla Fondazione natalità e il Forum delle famiglie. Un appuntamento che – minimo storico delle nascite sotto quota 400mila a parte – si celebra sotto la “buona stella” dell’assegno unico universale erogato per la prima volta dal governo proprio a partire da quest’anno, «una rivoluzione nell’ambito del sostegno alla genitorialità e nel sostegno ai più piccoli a cui si rivolge» rivendica la ministra per la Famiglia Elena Bonetti.

L’Italia «è un Paese che sta camminando – assicura Bonetti –, che si è reso conto finalmente come il declino demografico e della natalità non sono più elementi sostenibili, non lo sono per questioni anche di carattere sociale. Sono il frutto di una mancanza di prospettive di futuro in particolare per le giovani donne e gli uomini che invece nella nostra Italia devono poter trovare lo spazio per realizzare i propri sogni e farli diventare un programma di responsabilità di cui tutti noi ci facciamo carico». E il governo, insiste ancora la ministra, c’è, «è fortemente e prioritariamente impegnato in questa direzione, lo è attraverso politiche concrete, e nel portare avanti la riforma del Family act che in queste giornate sta iniziando il suo percorso di approvazione anche in Senato».

Peccato che, tra il dire e il generare, ci siano di mezzo ben altre esigenze. Le snocciola con puntualità il demografo Alessandro Rosina, chiamato a presentare la realtà dei fatti coi dati più che mai crudi circa la situazione del nostro Paese: una decrescita impressionante delle nascite che ci ha portati al record negativo di meno di 1,3 figli per donna (e quel primo figlio arriva mediamente a 31 anni), l’abisso della maternità soprattutto tra le donne più giovani (i dati non sono cambiati dopo la prima ondata di Covid, anzi), la previsione di un Paese incapace di sostenere il proprio sistema economico, previdenziale e sanitario nel giro di vent’anni, forse meno. «Serve un cambiamento repentino adesso – spiega Rosina grafici alla mano –, più tempo passa prima che si prendano decisioni drastiche, più lentamente le prenderemo, più debole sarà l’impulso sulle dinamiche demografiche» visto che con i nuovi nati perdiamo anche le nuove nate, che sono le potenziali madri di domani. Si chiama “trappola demografica”: la metà delle culle vuote (quelle delle femmine) pesa il doppio nella crisi. E ogni anno in perdita pesa molto di più sulla curva della (eventuale) ripresa, tanto che nel 2030 potremmo arrivare – se va bene – a 464mila nascite in un anno. Un figlio e mezzo per donna per intendersi, lontanissimo dai primati (oltre i 2) di Francia, Svezia e Germania. Soluzioni? «Gli asili nido devono diventare un diritto, con le rette abbattute almeno del 50% – spiega Rosina –. La genitorialità deve essere condivisa pienamente, con congedi di paternità di almeno 3 mesi, pagati all’80%. Infine proprio l’assegno, non unico e davvero universale: un sostegno per tutte le famiglie, una politica centrale e prioritaria per il governo, non una scelta marginale». (continua a leggere https://www.avvenire.it/attualita/pagine/natalita-la-sfida-degli-stati-generali-ecco-come-si-puo-invertire-la-rotta)