La parrocchia S. Seton compie 56 anni

Era il 21 Aprile del 1968 quando don Gino Franchi, parroco fondatore, apriva le porte della prima chiesa in Italia dedicata a Madre Seton, la prima santa cattolica americana. Fu mons. Ablondi ad indicare il giovane prete don Gino per questo incarico e insieme a lui a scegliere il luogo, in un quartiere di Livorno che stava nascendo; a cercare i fondi per costruire la chiesa tra donatori livornesi e americani e soprattutto a far conoscere la figura di questa santa (all’epoca ancora beata), moglie, madre, educatrice, convertita a Livorno alla fede cattolica, donna ispirata alla figura di S. Vincenzo de Paoli.

E per ricordare questo anniversario, a 56 anni di distanza da quel giorno, il parroco padre Francesco Gusmeroli, con i confratelli della Congregazione Vincenziana a cui la parrocchia è ora affidata e la comunità di fedeli, ha invitato a presiedere la Messa solenne, padre Carmine Madalese, secondo parroco dopo don Gino Franchi. Durante la celebrazione, nella cappellina del Santissimo, è stato inaugurato un quadro, del pittore Paolo Maiani, donato dalla famiglia dopo la morte dell’artista. Paolo Maiani, con cui don Gino aveva stretto amicizia, è anche l’autore di molte pitture sulle pareti della chiesa, che raffigurano momenti di vita e la spiritualità di Madre Seton. Alla Messa anche la presenza di due ospiti americane, dell’Istituto delle Suore della Carità di New York, che hanno portato i saluti della comunità statunitense e la gioia della condivisione per questo anniversario.

Ecco le parole di padre Carmine Madalese nella sua omelia

LA PARROCCHIA, COMUNITÀ DI FEDE, EUCARISTICA E MISSIONARIA

Cari fratelli e sorelle,

è sempre un motivo di gioia celebrare con voi soprattutto quando si tratta dell’anniversario di una comunità parrocchiale affidata alle cure di una comunità religiosa in questo caso di noi missionari vincenziani arrivati qui in mezzo a voi nel 2016.

 Qui si edificata come una porzione del popolo di Dio in un determinato territorio. Il soggetto è il popolo di Dio, animato dal ministero sacerdotale e dagli altri ministeri. La sua è una vita di famiglia.

Ricordando il 56° anniversario dell’istituzione di questa parrocchia, dedicata alla nostra santa vincenziana Santa Elisabetta Anna Seton vogliamo ringraziare il Signore per il cammino   che ha compiuto in questi anni.

Naturalmente molti di voi ricorderanno i passaggi di questo lungo percorso: le iniziative intraprese, la generosità di molti nel contribuire alla realizzazione della struttura della nuova Chiesa parrocchiale, l’impegno profuso soprattutto del compianto don Gino Franchi artefice di tutto questo.

Se c’è una idea fondamentale che ha animato l’attività pastorale di don Gino è certamente questa: costruire una comunità. “Noi siamo la Chiesa, la Chiesa siamo noi”. “La casa tra le case” non si tratta di uno slogan, ma di una realtà che avete sperimentato perché progressivamente vi siete attivamente costituiti come “famiglia di famiglie”, unite dall’unica fede celebrata, professata e vissuta. Vi chiedo di fare memoria di quanto è accaduto in questi anni. La storia, le vicende, le attività, le iniziative e anche i fallimenti sono un deposito di grazia.

Rappresentano il cammino reale, concreto che ha reso possibile quanto ora possiamo vedere. Immagino i sacrifici vostri e di don Gino e anche quel poco che insieme abbiamo cercato di fare e che ora continuano gli altri miei confratelli vincenziani.

Accade sempre così. Quando si guardano le opere realizzate ci si domanda come è stato possibile raggiungere gli obiettivi. Non tutto è opera della buona volontà e dell’impegno profuso. Molto è frutto della grazia. Essa non agisce in modo eclatante, ma realizza grandi cose attraverso le difficoltà e le fragilità umane. Di questo ringraziamo il Signore.

In questa quarta domenica di Pasqua, detta domenica del Buon Pastore, il Vangelo (Gv 10,11-18) presenta Gesù come il vero pastore, che difendeconosce e ama le sue pecore.

A Lui, Buon Pastore, si contrappone il “mercenario”, al quale non importano le pecore, perché non sono sue. Fa questo mestiere solo per la paga, e non si preoccupa di difenderle: quando arriva il lupo fugge e le abbandona (cfr vv. 12-13). Gesù, invece, pastore vero, ci difende sempre, ci salva in tante situazioni difficili, situazioni pericolose, mediante la luce della sua parola e la forza della sua presenza, che noi sperimentiamo sempre e, se vogliamo ascoltare, tutti i giorni.

Come è bello e consolante sapere che Gesù ci conosce ad uno ad uno, che non siamo degli anonimi per Lui, che il nostro nome gli è noto! Per Lui non siamo “massa”, “moltitudine”, no. Siamo persone uniche, ciascuno con la propria storia, [e Lui] ci conosce ciascuno con la propria storia, ciascuno con il proprio valore, sia in quanto creatura sia in quanto redento da Cristo. Ognuno di noi può dire: Gesù mi conosce! È vero, è così: Lui ci conosce come nessun altro. Solo Lui sa che cosa c’è nel nostro cuore, le intenzioni, i sentimenti più nascosti. Gesù conosce i nostri pregi e i nostri difetti, ed è sempre pronto a prendersi cura di noi, per sanare le piaghe dei nostri errori con l’abbondanza della sua misericordia.

Dunque, Gesù Buon Pastore difende, conosce, e soprattutto ama le sue pecore. E per questo dà la vita per loro (cfr Gv 10,15). L’amore per le pecore, cioè per ognuno di noi, lo porta a morire sulla croce, perché questa è la volontà del Padre, che nessuno vada perduto. L’amore di Cristo non è selettivo, abbraccia tutti. Ce lo ricorda Lui stesso nel Vangelo di oggi, quando dice: «E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore» (Gv 10,16).

Queste parole attestano la sua ansia universale: Lui è pastore di tutti. Gesù vuole che tutti possano ricevere l’amore del Padre e incontrare Dio.

E la Chiesa è chiamata a portare avanti questa missione di Cristo. Oltre a quanti frequentano la nostra comunità, ci sono tante persone, la maggioranza, che lo fanno solo in casi particolari o mai. Ma non per questo non sono figli di Dio: il Padre affida tutti a Gesù Buon Pastore, che per tutti ha dato la vita.

E con il ringraziamento anche l’invito a riconsiderare l’identità della Chiesa, l’identità della vostra comunità. Il Concilio Vaticano II ci ha stimolati a pensare la Chiesa attraverso due categorie: il mistero e l’edifico spirituale.

La fede non è una professione di verità astratte, ma è annuncio di un avvenimento celebrato nei santi misteri e vissuta nella vita. Una comunità di fede, dunque, deve esprimersi come comunità eucaristica. Nella Eucarestia, la comunità diventa ogni volta Chiesa.

La Comunità di fede e la comunità eucaristica devono trasformarsi in comunità di missione. Comunità che agisce nel mondo, sta tra le case della gente, si prende cura delle persone, soprattutto dei più poveri. È quanto avete fatto in questi anni. Sono sicuro che continuerete a farlo nel prossimo futuro.

Fratelli e sorelle, Gesù difendeconosce e ama tutti noi. Maria Santissima ci aiuti ad accogliere e seguire noi per primi il Buon Pastore, per cooperare con gioia alla sua missione.