La nuova riforma fiscale

Il Presidente del circolo culturale “Il Centro”, Fabio Del Nista, ha presentato di fronte ad un pubblico attento e preparato, il relatore della serata nella persona del Professor Alessandro Giovannini, docente di Economia all’Università di Siena, facente parte della Commissione Ministeriale per la riforma tributaria, che ha affrontato il tema: “La nuova riforma fiscale, gli aspetti più significativi”.

Di questa riforma -ha iniziato- non tutto è positivo perché la finanza pubblica italiana si trova in una fase di sostanziale stagnazione e in questa situazione bisogna sempre guardare al Pil reale. Anche negli Stati Uniti gli elettori di Tramp lo votano per i problemi economici che sembrano essere buoni. Ma la crescita economica, come avviene anche da noi “non è reale, è solo nominale”, l’inflazione e il debito la deprimono.

Il Pil reale ci dice che non c’è nessuna crescita a causa, prima di tutto, dell’aumenti del debito pubblico. Si stenta a crederlo ma ogni minuto cresce di 320 milioni! Gli interessi sul debito ammontano a quasi 100 miliardi e tutto ciò ha un grande rilievo sul bilancio complessivo dello Stato. Quello che è grave è che dei mille miliardi della spesa pubblica solo 50 riguardano gli investimenti, tutto il resto riguarda la spesa corrente.

Dobbiamo dire che l’Unione Europea è stata generosa nei nostri confronti con il PNR, compiendo cioè la scelta di aiutare il nostro paese con un maxi investimento. Dobbiamo aggiungere che la spesa previdenziale dovuta al sistema pensionistico e all’assistenza sociale ammonta ad un terzo della spesa pubblica. La spesa sanitaria è senz’altro mal gestita anche se si avvale di 40 miliardi del ticket sborsato dai cittadini.

L’altra faccia negativa della medaglia è l’evasione fiscale. E’ calcolata in circa 100 miliardi l’anno, è vero che dagli anni 1997/2000 c’è stata una piccolissima inversione di tendenza ma “l’esattezza dell’evasione reale nessuno la sa”. Si pensa che sia incentrata su certe fasce, ma in realtà non è così. Infatti è distribuita su tutte le fasce dei lavoratori, soprattutto è la classe operaia che fa “il nero”. È minore per i colletti bianchi e per i dirigenti.

La Banca d’Italia ha messo in evidenza che l’evasione avviene sulle accise: sui derivati del petrolio e sui tabacchi, è su queste che bisogna intervenire.

Cosa dovrebbe fare una riforma fiscale seria? Dovrebbe perseguire due obiettivi: la riduzione dell’evasione, ma ci rendiamo conto che è difficile sul come farla, e contribuire alla riduzione della spesa pubblica. Il Governo Draghi, sulla scia di quanto avvenuto negli anni ’70, si era dato questi  obiettivi nel rivedere  la distribuzione dei carichi fiscali, ma la sua riforma è stata affossata.

L’attuale riforma del Governo Meloni non si occupa di questi due obiettivi, anzi si sta cercando di aumentare la spesa pubblica e non c’è un reale contrasto all’evasione. Da notare anche che sulla Legge di Bilancio non ci sarà alla Camera alcun dibattito. Inoltre la spesa pubblica è mal distribuita e non si interviene con una visione politica della questione sul medio termine.

Un altro interrogativo è: che cosa si vuol fare sulla riforma del catasto? I terreni agricoli censiti risalgono al 1938, riveduti poi nel 1978, si stima anche che “gli immobili fantasma” siano due milioni e mezzo! L’Unione Europea ha giustamente richiamato l’Italia alla revisione del catasto.

La tassazione della prima casa che da noi non si fa, viene fatta invece in tutta Europa. Con la discrepanza tra redditi da lavoro e redditi patrimoniali il nostro sistema non potrà reggere. Il Governo interviene sull’Irpef ma sopra i 50 mila euro il beneficio si sterilizza. Bisogna anche interrogarci sulla discesa del ceto medio, ricordiamoci che “la ricchezza prima di essere distribuita va prodotta”. Perciò il ceto medio-alto è da stimolare perché è da lì che possono venire gli investimenti.

Da noi purtroppo sta passando l’idea che “tutto sia gratuito e che tutto venga finanziato a debito”, ciò potrebbe andar bene in tempi d’oro, non in un periodo di stagnazione!

E’ un fatto che il Governo stia intervenendo con norme di tipo “dirigista” che hanno messo in sottordine la spinta all’innovazione, l’innovazione invece può dare dei risultati positivi sul piano del lavoro, le agevolazioni all’impiego vanno bene, ma se “non c’è lavoro, non c’è assunzione”.

Il versante dell’evasione è preoccupante ed è vero che con “il fisco amico” viene concordato per due anni il tasso, ma il “consenso alla tassazione” si crea se si fa “la condivisione delle scelte”, altrimenti c’è una repulsione che viene percepita come una proscrizione della libertà personale, dunque occorre ipotizzare delle scelte condivise, ma non si deve barare e non deve essere un mercanteggiare, ma comunque si avrà “pochissimo gettito” e nelle casse dello Stato entrerà solo un inezia. L’aspetto positivo della riforma è che si pone un forte freno all’idea giustizialista sul fronte delle sanzioni anche penali. La flat tax non si farà perché è impossibile da realizzare in quanto comporterebbe un costo di 30 miliardi.

Per quanto riguarda l’accorpamento delle aliquote e la minimun tax al 15% su tutte le imprese multinazionali, porterebbe un introito di 200 milioni, una somma irrisoria per lo Stato!

Le parole del relatore hanno avuto un positivo riscontro dalle domande dei presenti: da Del Nista a Bianchi, da Dello Sbarba a Cappelli e da tanti altri e gli argomenti trattati hanno avuto delle risposte puntuali da parte del Professor Giovannini.