Diocesi
La nostra “normalità” è quella portata da Gesù
Quando Giovanni Paolo II, nel 1997, istituiva la Giornata mondiale della vita consacrata, esprimeva il desiderio di «aiutare l’intera Chiesa a valorizzare sempre più la testimonianza» delle persone consacrate, incoraggiava alla lode e alla gratitudine a Dio per tale dono e ribadiva la sua profonda stima nei confronti delle persone consacrate. Con queste parole il vescovo Simone ha aperto la sua riflessione nella Giornata della Vita Consacrata, nella festa della Presentazione di Gesù al Tempio.
La Chiesa ci stima – ha continuato – e vuole farcelo sapere. Non ce lo dice una volta sola, oppure di tanto in tanto, ma ce lo ripete regolarmente ogni anno. Chi raffigurano le sagome e i volti dell’immagine- icona della Presentazione del Signore?
C’è Giuseppe, al quale il terzo Vangelo (a differenza di Matteo) non assegna nessun ruolo di rilievo. Anche noi, religiose e religiosi, potremmo smettere di crogiolarci nel protagonismo e di rivendicare attenzione. Semplicemente proviamo ad essere padri e madri affidabili, sulla cui presenza si può sempre contare. Accanto a Giuseppe c’è la sua sposa, Maria. Pur essendo nel racconto lucano la destinataria principale degli annunci evangelici chiave, non va a impartire lezioni a destra e a manca. Lei è la donna che ascolta e conserva tutto nel suo cuore. Proviamo a farlo anche noi, consacrate e consacrati, quando accogliamo e ascoltiamo le persone che ci aprono i loro cuori feriti e sofferenti.
Nella scena, Simeone è ovviamente un personaggio di rilievo. Non gli manca la saggezza né l’eloquenza. Potrebbe ancora ricoprire qualche incarico e se la caverebbe alla grande. L’evangelista lo ritrae proprio nel momento in cui sta “dando le dimissioni”. Forse anche noi gli potremmo assomigliare, quando non ci aggrappiamo ai nostri ruoli. Non abbiamo bisogno di ripetere ai quattro venti, con nostalgia, quanto bene hanno fatto le nostre istituzioni nel loro passato glorioso. Abbiamo già visto agire il Signore e per questo continuiamo a credere che sia sempre Lui a condurre la storia, anche quando, apparentemente, tutto sembra andare in frantumi. Sia proprio questa fede il nostro dono a quanti non vedono altro che rovine.
C’è poi la profetessa Anna. L’evangelista Luca, in maniera discreta e delicata, ce la presenta come il prototipo di una vita fallita dal punto di vista umano: un matrimonio di breve durata e persino senza prole; in più una vedovanza lunga e insignificante. Ma Anna non aspetta, amareggiata, che qualcosa o qualcuno la rallegri con qualche briciola di vita. È invece lei a dire a coloro che la circondano che la vita sempre ci sorprende. Come Anna, anche le nostre comunità, formate anche da membri di età avanzata, diventino esse stesse capaci di far germogliare vita nuova, perché «l’amore fa nuove tutte le cose».
E infine nell’icona c’è il Bambino, Gesù. San Giovanni Paolo II lo descrive quale «consacrato del Padre, venuto nel mondo per compierne fedelmente la volontà ». Proprio ciò a cui anche noi aneliamo. Non abbiamo bisogno di ripetere spasmodicamente che siamo uomini e donne “normali” pur di incoraggiare qualche giovane ad affacciarsi alle nostre case. È ovvio che la povertà, la castità e l’obbedienza non sono “normali” secondo i parametri del mondo, come non era “normale” neanche Gesù povero, casto e obbediente. Ma noi desideriamo con tutto il cuore essere come Lui, perché Lui è l’unico a restituire all’umanità quella “normalità” voluta da Dio, Padre e Creatore.
Che cosa manca all’icona? C’è da aggiungere quello sfondo d’oro che splenderà di luce celeste. Ecco, l’ultima pennellata dell’icona che la vita consacrata sta forse per donare al mondo nell’anno 2024: la gratitudine. Ci sentiamo Chiesa, e la speranza continua a essere fortemente radicata in noi, nonostante le ferite e i lividi di cui nemmeno noi siamo stati risparmiati.
Guarda le foto della celebrazione scattate da Antonluca Moschetti