La celebrazione in Cattedrale e la veglia di preghiera

L’altare della reposizione posto nel Duomo di Livorno reca la scritta “Pregate e vegliate”.  Sì, “Vegliate e pregate ogni momento” (Luca 21, 34-36). Stare all’erta. La preghiera apre il nostro cuore alla speranza, ci permette di riscattarci dalla distrazione e dalla violenza in cui normalmente sono collocate le nostre giornate. È Giovedì Santo, si celebra la Messa in Coena Domini presiede Monsignor Simone. I discepoli di Emmaus quest’anno sono gli ospiti della Fondazione Caritas della Diocesi di Livorno. Ognuno di loro proviene da paesi diversi. Osservandoli la domanda che subito viene da porsi è: quale storia, quale esperienza hanno vissuto? Eppure, loro come noi hanno una casa, ossia: “La vera casa dell’uomo non è una casa, è la strada. La vita stessa è un viaggio da fare a piedi” (Bruce Chatwin). Il Signore ha voluto purificare questi “piedi” perché potessimo ricominciare un nuovo cammino. In questo legame di affettività con Cristo l’uomo rinasce.

“Questa è la notte che ha plasmato la Chiesa!”. Così inizia l’omelia di Monsignor Simone. Quello che il Signore ha fatto in questa notte è il segno della visibilità della comunità cristiana. È il segno e lo strumento di potere partecipare tutti a quello che è avvenuto in due giorni a Gerusalemme. In questa notte il Signore anticipa nei segni della Messa, nei segni sacramentali quello che di lì a poche ore avrebbe vissuto. Il dono di sé fino alla morte e la vittoria sulla morte. Dio in questa notte si sacrifica per noi. Il Signore non chiede a noi qualcosa. Egli ha dato a noi tutto sé stesso. Tutto è compiuto, come anche il nostro tradimento è presente nel tradimento di Giuda. Per mezzo dello Spirito Santo possiamo partecipare a questo unico sacrifico che ci ha redenti. L’unica richiesta di Gesù è di amarlo ed essere con Lui. Chiede che noi domandiamo di essere con Lui in Paradiso. Chiede la nostra libertà. Aspetta un Sì: “Voglio stare con te”. Chiede a noi di sapere amare donandosi a tutti come Lui ha fatto. Gesù lavando i piedi crea scandalo. Lo stesso Pietro si scandalizza: “Come tu il primo, il capo, fai queste cose, non lo fanno nemmeno i servi?”.  Perché, dirà poi, che bisogna “fare memoria di Lui”. Non un continuo chiedere, ma un dare senza misura. Se vogliamo essere con Gesù lo devo seguire e amare come ha fatto Lui, servo dei servi. Chiunque, dal Papa all’ultimo dei sacerdoti è chiamato a inchinarsi come Cristo ha fatto.  Il sacerdote nella “lavanda dei piedi” si inchina fino a terra, sta per terra e si mette alla altezza di chi sta per terra. La terra è la polvere, è l’umile. Si inchina di fronte a tutti i fratelli. Il Papa Francesco così ha compiuto questo gesto inchinandosi di fronte ai leader nel sud del Sudan chiedendo loro, mettendosi in ginocchio e baciandogli i piedi, esortandoli a smettere di fare la guerra. Il Santo Padre lo dice tutt’oggi per la guerra in Ucraina. Un conflitto assurdo che va interrotto quanto prima. Ancora una volta si antepone la politica al Vangelo. Nell’amore c’è salvezza, nel perdono c’è salvezza. La pace si costruisce se si è capaci di perdonare e di ricostruire un dialogo.

Al termine della Santa Messa molti i fedeli sono entrati in duomo e si sono inginocchiati di fronte all’altare della reposizione. Molte famiglie con bambini hanno acceso una candela e sono rimaste a pregare insieme al Vescovo Simone. Molti ragazzi si sono fermati a conclusione del “Giro delle Sette Chiese”.  

Il Vescovo Simone ha salutato i presenti e con forza ha sottolineato che occorre amare veramente. Occorre convertirci vale a dire andare verso Gesù. In questa Santa notte il Signore vuole manifestare che solo nell’amore c’è salvezza. Ci vuole una risposta libera. Il Sì di Pietro!

Le immagini della notte del Giovedì santo