La banalità del bene, dai Grest alla Gmg

C’è una “banalità del male”, che genera morte, ma poi c’è anche una “banalità del bene”, che alimenta la profezia. C’è uno scontro tra oscurità e luce che in queste settimane passa dalle vite dei nostri giovani. Passa e lascia segni profondi, alcuni dei quali fanno notizia, assurgono a chiavi di lettura complessive sulla situazione delle nuove generazioni, diventano virali sui social; fanno il rumore sconvolgente di un Suv che distrugge un’utilitaria e uccide un bimbo per una challenge sul web, ci colpiscono come le urla di una ragazza ferita a morte da un coetaneo e come le laceranti grida di dolore di una famiglia che perde una figlia e lo sguardo sul proprio futuro.

Altri segni, invece, fanno solo il rumore del fruscio di una borraccia infilata in uno zaino accanto a un sacco a pelo, non producono più chiasso del vociare di bambini allegri che giocano al di là della recinzione di un oratorio in un assolato pomeriggio d’estate, ci arrivano ovattati come i canti di gruppo di ragazzi dai finestrini di un autobus diretto a una piscina, a un lago in montagna o verso una spiaggia. E poi ci siamo noi, che dobbiamo decidere a quale di queste stimolazioni uditive e visive dare più credito, quali segni approfondire e indagare, in quale delle due “banalità” investire le nostre risorse. Insomma, la vera “challenge” di questa estate è quella che si gioca sul palco del discorso pubblico – a partire dall’intimità delle mura domestiche, così come negli spazi condivisi della vita di comunità e nei luoghi in cui si costruisce l’esperienza sociale – e che vede scontrarsi due evidenze opposte sulle nuove generazioni.

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