Io Capitano

Seydou e Moussa sono due adolescenti che vivono in un villaggio del Senegal, nei pressi di Dakar. Di nascosto dai genitori lavorano come manovali per mettere da parte i soldi per finanziarsi il viaggio in Europa. Sognano di poter far musica e aiutare a distanza le loro famiglie. Nel cuore della notte scappano di casa e accettano, pagando generosamente, di unirsi a una comitiva di esuli diretta al porto di Tripoli. Ma già durante la difficile traversata del deserto i sogni vacillano e la realtà irrompe sulla scena…

Valutazione Pastorale

Romano classe 1968, il regista-sceneggiatore Matteo Garrone nel corso degli ultimi vent’anni si è imposto nel panorama europeo come uno degli autori italiani più apprezzati. Tra i suoi titoli, spesso incoronati al Festival di Cannes, si ricordano: “L’imbalsamatore” (2002), “Gomorra” (2008), “Reality” (2012), “Il racconto dei racconti” (2015), “Dogman” (2018) e “Pinocchio” (2019). Il suo cinema sembra muoversi tra sguardi sociali foschi, criminali e, al contempo, suggestioni fantastiche. A Venezia80 si presenta con un progetto e uno stile pressoché “inedito”: il suo film “Io Capitano” – scritto insieme a Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini e Andrea Tagliaferri – è una fotografia epica dei continui viaggi attraverso l’Africa, il deserto, alla volta del mare e dunque del sogno chiamato Europa. Una coproduzione italo-belga che vede tra i partener Rai Cinema; il film è nelle sale italiane da giovedì 7 settembre 2023. La storia. Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall) sono due adolescenti che vivono in un villaggio del Senegal, nei pressi di Dakar. Di nascosto dai genitori, lavorano come manovali per mettere da parte i soldi per finanziarsi il viaggio in Europa. Sognano di poter far musica e aiutare a distanza le loro famiglie. Nel cuore della notte scappano di casa e accettano, pagando generosamente, di unirsi a una comitiva di esuli diretta al porto di Tripoli. Ma già durante la difficile traversata del deserto i sogni vacillano e la realtà irrompe sulla scena.

“Per realizzare il film – ha dichiarato il regista – siamo partiti dalle testimonianze vere di chi ha vissuto questo inferno e abbiamo deciso di mettere la macchina da presa dalla loro angolazione per raccontare questa odissea contemporanea dal loro punto di vista, in una sorta di controcampo rispetto alle immagini che siamo abituati a vedere dalla nostra angolazione occidentale”.

Matteo Garrone chiarisce bene il taglio del suo film “Io Capitano”: l’autore si concentra sulle realtà di appartenenza dei giovani migranti e sul difficile percorso che compiono, sia come traversata geografica sia come viaggio interiore, un percorso destinato a segnarli e a spingerli brutalmente nell’età adulta. Garrone posiziona la macchina da presa ad altezza di ragazzo, seguendo in particolare la prospettiva di Seydou, un giovane così amato in famiglia da non essere convinto di volersene distaccare. Un ragazzo che durante le avversità e le asprezze della traversata nel deserto non abdica mai ai valori di umanità e solidarietà. E anche quando si trova faccia a faccia con le torture nelle prigioni libiche o davanti alle minacce degli scafisti, non cambia atteggiamento. “Io Capitano” si pone su un binario narrativo già abitato al cinema, si veda il bellissimo “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi; Garrone, però, lavora su una chiave tematica originale, soprattutto personalizzando qua e là il racconto con la sua marca stilistica. L’autore convince soprattutto nel modo in cui lavora con i giovani attori, spingendoli a dare il meglio in termini di spontaneità e naturalezza; inoltre, risparmia allo spettatore immagini scioccanti e violenze insistite. Lascia parlare, con intensità, principalmente gli occhi dei due ragazzi. Film consigliabile, problematico, per dibattiti.