Inclusione o esclusione?

A forza di voler includere si finisce per escludere. È l’effetto paradossale di quella che sta diventando una vera ossessione delle istituzioni europee per l’uso di un linguaggio che non faccia sentire nessuno discriminato. Intenzioni ottime, risultati discutibili. Si consiglia infatti l’uso per i documenti ufficiali di un frasario apparentemente neutro, ma si finisce col tagliare fuori chi si identifica in valori e parole giudicati “escludenti”.

Dovevano restare un documento a uso interno – infatti non se ne rinviene traccia nei siti istituzionali –, ma le «Linee guida della Commissione europea per la comunicazione inclusiva – #UnionOfEquality» oggi sono circolate in rete mostrando molte cose ottime – l’impegno per non ghettizzare i disabili, ad esempio – accanto ad altre che mostrano dove porta lo strenuo impegno per eliminare le identità producendo così nuove discriminazioni. Il caso più eclatante spunta nel capitolo «Culture, stili di vita o credenze» dove per sventare ogni «intolleranza» si invita a «evitare di dare per scontato che tutti sono cristiani» visto che «non tutti celebrano le festività cristiane, e non tutti i cristiani le celebrano nelle stesse date». Dunque, per «essere sensibili al fatto che la gente ha tradizioni e calendari religiosi differenti», è bene «evitare» di usare frasi come «il Natale può essere stressante» (chissà poi perché questo esempio) e preferirgli «le vacanze possono essere stressanti». Che agli auguri natalizi il mondo anglosassone affianchi i «season’s greetings» (alla lettera, «auguri di stagione») non è una novità. Lo è la disposizione che negli atti ufficiali dell’Europa unita la parola «Natale» sia considerata sconveniente.

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