cinema
Il treno dei bambini
Il film di Cristina Comencini
Napoli 1946, Amerigo Speranza ha otto anni. Vive con la madre Antonietta nei Quartieri Spagnoli. A casa c’è poco cibo, scarseggia tutto, a seguito della guerra, così la donna decide di accettare la proposta del Pci: mandare i bambini più bisognosi a Modena per avere ristoro e risorse. Controvoglia Amerigo parte per il Nord, dove sarà ospitato dalla militante di partito Derna. Una convivenza sulle prime non facile, segnata da reciproco sospetto e sofferenza; una coabitazione che però regalerà tenerezza e speranza a entrambi…
Valutazione Pastorale della commissione CEI
Una piccola (grande) storia di umanità e unità nazionale. È quanto ci consegna il nuovo film di Cristina Comencini, “Il treno dei bambini”, in anteprima alla 19ª Festa del Cinema di Roma e dal 4 dicembre 2024 in esclusiva su Netflix. Tratto da una vicenda vera, riportata alla memoria dalla scrittrice Viola Ardone nel 2019, “Il treno dei bambini” ci racconta una storia di solidarietà in un’Italia piegata dai pesanti lasciti della Seconda guerra mondiale: il coraggio di madri napoletane, del Sud, di mandare i propri figli a Modena e nel resto dell’Emilia-Romagna perché possano nutrirsi e andare a scuola. Un gesto di profondo amore, quell’amore che sa lasciare andare, correndo anche il rischio di non vedere ritorno. Protagoniste le intense Barbara Ronchi e Serena Rossi.
La storia. Napoli 1946, Amerigo Speranza ha otto anni. Vive con la madre Antonietta nei Quartieri Spagnoli. A casa c’è poco cibo, scarseggia tutto, a seguito della guerra, così la donna decide di accettare la proposta del Pci: mandare i bambini più bisognosi a Modena per avere ristoro e risorse. Controvoglia Amerigo parte per il Nord, dove sarà ospitato dalla militante di partito Derna. Una convivenza sulle prime non facile, segnata da reciproco sospetto e sofferenza; una coabitazione che però regalerà tenerezza e speranza a entrambi…
“Un viaggio epico – ha sottolineato la regista – organizzato dall’Unione Donne Italiane, che racconta un’Italia impegnata nello slancio solidale. Sono sempre stata interessata alle storie personali che si svolgono in una Storia più grande. (…) Una vicenda passata ma attualissima: il biennio 1945-1947, un periodo in cui sembrava possibile un Paese unito”. La Comencini con la sua cifra elegante e misurata – tra i suoi lavori “Va’ dove ti porta il cuore” del 1996, “Il più bel giorno della mia vita” del 2002 e “La bestia nel cuore” del 2005 – firma un film classico, lineare, di grande intensità. Un film che esplora le fratture della guerra nel Paese e al contempo quelle dell’animo di chi è sopravvissuto alla violenza. L’opera isola il racconto attorno a due donne, due madri. La prima, Antonietta, che ha generato Amerigo e lo ha tenuto in vita nelle difficoltà; e proprio per quel grande amore materno è spinta a privarsi di lui, lacerandosi nell’animo, pur di dargli futuro. Lo manda al Nord, dove lo accoglie Derna, madre custode, che accompagna il bambino verso un orizzonte di possibilità. Una madre che non ha avuto l’opportunità di generare, perché la guerra è stata crudele, strappandole l’amore, ma che ha trovato riscatto accogliendo il figlio di un’altra. Due donne espressione di maternità, coraggio e lungimiranza, il miglior ritratto di un Paese che prova a rimettersi in piedi e si sacrifica per un bene più grande, per la speranza del domani.
La Comencini governa con mestiere e classe un copione potente e attuale – a firmare l’adattamento è la stessa regista con Furio Andreotti, Giulia Calenda e Camille Dugay -, pur affrontando una vicenda di ieri. Ci parla dell’universalità dell’amore, quello che non trattiene ma sa lasciar andare. Di un atto d’amore ogni oltre misura, dai riverberi anche evangelici. Un’opera dal respiro divulgativo, di grande risonanza, che brilla per le interpretazioni di Barbara Ronchi e Serena Rossi, ma anche del piccolo Christian Cervone, di Antonia Truppo, Stefano Accorsi, Francesco Di Leva, Dora Romano e Ivan Zerbinati. A impreziosire il tutto le musiche dolci e dolenti del Premio Oscar Nicola Piovani. Un film splendido, intessuto di memoria e speranza. Consigliabile, poetico, per dibattiti.