Il tempo che ci vuole

Il film di Francesca Comencini

Roma, inizio anni ’70. Luigi Comencini è al lavoro sul progetto Rai “Le avventure di Pinocchio”, dal romanzo di Carlo Collodi. Spesso condivide le sue idee con la figlia Francesca, che coinvolge anche durante le riprese. Nel corso degli anni il legame passa dalla fase giocosa agli scontri tra un padre in apprensione e una figlia che sente l’eco della ribellione politico-sociale negli anni ’70-’80. Un viaggio tra Roma e Parigi, tra schermo e realtà…

Valutazione Pastorale

Si presenta come una corrispondenza, un dialogo, mai interrotto, tra un padre e una figlia, tra un maestro e un’allieva. È “Il tempo che ci vuole”, il nuovo film di Francesca Comencini – suoi “Mi piace lavorare. Mobbing” (2004), Gomorra. La serie (Sky, 2014-19) e “Django. La serie” (Sky, 2023) –, una coproduzione Italia-Francia, presentato fuori Concorso a Venezia81 e in sala con 01 Distribution. L’autrice (ri)apre i cassetti della memoria raccontando il suo rapporto con il padre Luigi, maestro del cinema italiano, dalle atmosfere sognanti dell’infanzia alla stagione della ribellione coincisa con gli anni di piombo e il rapimento di Aldo Moro. Un viaggio emozionale, tra dolcezza e malinconia, che si muove tra pubblico e privato. Ottimi Fabrizio Gifuni e Romana Maggiora Vergano. La storia. Roma, inizio anni ’70. Luigi Comencini è al lavoro sul progetto Rai “Le avventure di Pinocchio”, dal romanzo di Carlo Collodi. Spesso condivide le sue idee con la figlia Francesca, che coinvolge anche durante le riprese. Nel corso degli anni il legame passa dalla fase giocosa agli scontri tra un padre in apprensione e una figlia che sente l’eco della ribellione politico-sociale negli anni ’70-’80. Un viaggio tra Roma e Parigi, tra schermo e realtà… “Dopo tanti anni passati a fare il suo stesso lavoro – confida la regista – cercando di essere diversa da lui, ho voluto raccontare quanto ogni cosa che sono la devo a lui: ho voluto rendere omaggio a mio padre, al suo modo di fare cinema, al suo modo di essere”.

Francesca Comencini tratteggia un racconto avvolgente a due voci – non vengono menzionate le sorelle Cristina, Paola ed Eleonora –, riavvolgendo il nastro dei ricordi familiari e professionali. Il suo fare cinema, la scelta di essere una regista, lo deve al padre Luigi; ma ancor di più, deve a lui il suo essere una donna solida e risolta, la vittoria nella battaglia contro dipendenze e fragilità. Con grande coraggio l’autrice apre il proprio album di memorie, mostrando tutto di sé e del rapporto con il padre: dagli aneddoti casalinghi o da set, al momento in cui il grande regista mette da parte l’arte per seguire il percorso di ripresa e riscatto della figlia, prigioniera di anni difficili, di sirene politico-sociali corrosive. “Il tempo che ci vuole” è un film intimo votato alla condivisione, perché ci parla di un padre e di una figlia, ma anche della storia del cinema italiano e della sua valorizzazione nella memoria condivisa, compresa l’importanza del recupero delle pellicole attraverso il ruolo delle cineteche. Racconto onesto, dolce, marcato da poesia, da accogliere come una confidenza e al contempo una lezione sul cinema. Consigliabile, problematico, per dibattiti.