Il tema della pace cancellato dall’orizzonte internazionale

“Oggi il grande problema è che il tema della pace è cancellato dal nostro orizzonte”. Al convegno internazionale ‘Medì’ delle città mediterranee in corso a Livorno Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, sottolinea come “fino a ieri abbiamo parlato della pace come una prospettiva sempre da raggiungere, anche in un mondo difficile, conflittuale, ma oggi ci troviamo in una situazione drammatica: due anni fa la guerra e l’invasione russa in Ucraina, e che ancora continua. Poi una situazione terribile: il 7 ottobre con l’attacco terroristico di Hamas e la risposta israeliana. E non dimentichiamoci altri fatti, quello che sta accedendo in Sudan, la fine del Nagorno-Karabak in Azerbaigian dalla mattina alla sera Ci troviamo in un momento in cui lo strumento della guerra e della violenza è stato riabilitato e ormai le guerre una volta aperte sembra non trovino fine, si eternizzano: questo è un dramma”.

Si è persa la simpatia per la complessità, per il gusto di vivere insieme. E questo prepara il conflitto. “Io credo che Papa Francesco ricordi in tutti i modi che il tema di oggi è la pace e che bisogna mediare e dialogare per raggiungerla”. Con l’invio del cardinal Zuppi in Ucraina, in Russia ma anche in Cina e a Washington per la questione Ucraina, “Papa Francesco ha tentato, quantomeno ha segnato una strada. Io credo che se non ci si parla non si arriva alla mediazione e se non c’è mediazione non c’è futuro”. Una mediazione della Chiesa in Terra Santa è “più difficile che in Ucraina e Russia”.

Nella costruzione di percorsi costruttivi e pacifici incidono spazi di confronto e di incontro, amichevoli, liberi come quelli creati da dieci anni da Medì. Nel Mediterraneo, in questo mare agitato dalla Storia, “esistono legami profondi che uniscono questo mondo complesso e troppo conflittuale”.

La storia chiede di accettare l’altro.  

Medì: “Disegniamo il futuro con la forza disarmata delle donne”Sei storie per un’alternativa possibile alla rassegnazioneAl convegno internazionale di Sant ‘Egidio a Livorno le testimonianzedi chi sta sulla frontiera di mille sfide senza impugnare le armi

A Livorno, dove è in corso il convegno internazionale Medì promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, la “resistenza” delle donne a derive disumane. Dalle guerre, ai respingimenti dei profughi, alla corruzione che corrode e umilia la città, testimonianze coraggiose e piene di passione, in difesa della vita. Negli angoli più nascosti, l’impegno e il lavoro di donne comuni ed eccezionali insieme: a loro l’omaggio di una platea attenta e partecipe nella splendida location del Teatro Goldoni.

Barbara Bonciani (Comune di Livorno): “Audacia ed esempio delle donne marittime, in un mondo declinato prevalentemente al maschile”

Barbara Bonciani, assessora al Porto e all’integrazione tra città e porto del Comune di Livorno, ha parlato a Medì delle donne “invisibili” nei porti del Mediterraneo. Le lavoratrici marittime sono “donne audaci in un mondo declinato quasi esclusivamente al maschile: molti stereotipi, pregiudizi e superstizioni hanno limitato la loro presenza a bordo”. Le foto di Elena Cappanera le ritrae nella bella mostra ‘Il porto delle donne’, rimasta aperta al pubblico al Goldoni per i due giorni dell’evento

Delia Buonuomo, a Medì la storia di un caffè a Ventimiglia che diventa rete e rifugio per donne e bambini in fuga

Delia Buonuomo è stata minacciata per aver prestato aiuto e accolto nel suo bar a Ventimiglia, il Caffè Hobbit, donne e bambini, migranti in marcia verso la frontiera. A poca distanza il passo del Paradiso, un luogo impervio, a strapiombo sul mare, su cui molti si inerpicano, a rischio della vita, cercando di attraversare la frontiera. “Il mio aiuto era diventato un ‘reato’. Sono stata condannata perché aiutavo, perché come commerciante invece di dare un caffè davo aiuto. Ma questo mi ha dato la forza di andare avanti e combattere questa disumanità. Come si fa a vedere un bambino piangere e voltarsi dall’altra parte?! Oggi non ho più paura. Nessuno potrà mai togliermi la libertà di difendere le persone e di amarle”.

Philippa Kempson: a Lesbo “non può essere un crimine salvare la vita delle naufraghe”

Philippa Kempson dal 1989 si è trasferita dal Galles a Lesbo, per aprire un agriturismo ma poi, davanti ai naufragi, ha inventato col marito Eric, i familiari e gli amici, il progetto Hope, per salvare le vite e “salvare la vita non è un crimine”. La fantasia dell’amore ha spinto a creare iniziative per aiutare la permanenza mentre si attende asilo in condizioni estreme, come una scuola di pittura.

A Livorno il ricordo vivo di Daphne Caruana Galizia nelle parole della sorella giornalista Corinne Vella

Corinne Vella è giornalista, come lo era sua sorella Daphne Caruana Galizia, uccisa a Malta dalla criminalità organizzata con altre complicità, perché ne aveva svelato i traffici. “Daphne è stata uccisa dopo essere stata molestata. Dopo la sua morte c’è stato il tentativo di screditarla per garantirsi l’impunità. Quando un giornalista perde la vita, tutti perdiamo il diritto di sapere. Il mestiere di giornalista crea società più libere”.

Nadia Marzouki (tunisina): “Salviamo la memoria nelle città: è garanzia di democrazia”

A Medì, Nadia Marzouki, politologa tunisina in esilio, ha sottolineato il ruolo delle città mediterranee nella costruzione e nella ricostruzione di un volto costruttivo e pacifico dell’umanità, ma “si vede un ‘urbicidio’ delle città. In Tunisia le memorie patrimoniali e autoritarie hanno soppresso le memorie democratiche. Siamo davanti a una ‘memoria amnesica’ per scopi politici”. Non è un problema che riguarda solo la Tunisia.

Chiraz Gafsia (tunisina): “Dalle periferie, si vede la violenza fatta alle città, e nelle periferie nasce il desiderio di cambiarle”

Chiraz Gafsia è un architetta urbanista che ha lavorato alla rigenerazione dei quartieri più noti e di quelli meno frequentati nella capitale tunisina. “Nelle periferie – ha detto – ho visto rinascere la volontà di riappropriarsi degli spazi per vivere meglio. Ho incontrato donne che avevano trasformato uno spazio urbano pieno di rifiuto in un ambiente abitabile, con i pochi mezzi che avevano a disposizione, in un luogo abitabile. Per questo con loro ho fondato l’associazione Daame offrendo il mio lavoro per il miglioramento dello spazio pubblico e delle condizioni di lavoro delle donne”.