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Il sapore della felicità
Ancora un film a tema “gastronomico” per il regista Slony Sow e ancora Gérard Depardieu come protagonista. A più di dieci anni dal suo debutto dietro la macchina da presa con il cortometraggio “Grenouille d’Hiver” – storia di un vinicoltore che entra in crisi dopo la morte della moglie e trova la forza di ricominciare grazie a una giovane donna giapponese venuta in Francia per degustare il suo vino – Sow, con il “Il sapore della felicità”, si muove sostanzialmente sulla stessa linea di racconto. Nel film troviamo infatti il pluripremiato chef Gabriel Cravin (Depardieu) in un momento della vita particolarmente difficile: bevitore, insensibile alle esigenze altrui, annoiato del suo lavoro, deluso dalla famiglia, disamorato di tutto. La moglie Louise (Sandrine Bonnaire) lo tradisce e il suo rapporto con i figli, Jean (Bastien Bouillon) e Nino (Rod Paradot), è molto problematico. Un attacco cardiaco e la complessa operazione chirurgica conseguente peggiorano ulteriormente la situazione. Dopo che il suo migliore amico Rufus (Pierre Richard) prova a ipnotizzarlo per cercare di capire cosa lo renda così infelice, Cravin ricorda improvvisamente una sconfitta subita agli inizi della carriera quando, in una competizione internazionale, fu battuto da un cuoco giapponese (Kyôko Nagatsuka).
Deciso a ritrovarlo parte per Tokyo senza avvertire nessuno. Il viaggio in Oriente cambierà il suo approccio alla cucina, ma, soprattutto, riuscirà a riconciliarlo con la famiglia, con il lavoro, con la vita. “Il sapore della felicità” è una commedia che mette al centro un personaggio, quello dello chef stellato, che in questi ultimi anni si è ritagliato un posto speciale nell’immaginario collettivo – forse anche grazie alla moltitudine di trasmissioni televisive e gare in diretta a tema culinario – affiancando altri “eroi” nel collaudato binomio genio e sregolatezza. Siamo comunque molto lontani sia dalla follia autodistruttiva vista nel recente “The Menu” (2022), ma anche dalla fantasiosa dolcezza del cartoon “Ratatouille” (2007).
Il regista Sow getta nella pentola una grande quantità di ingredienti, servendo al pubblico un banchetto di molte portate, forse troppe, comunque gustose: l’importanza della famiglia, della cura e dell’amore da mettere in tutto ciò che facciamo; del rispetto della sensibilità e della libertà degli altri; dell’orgoglio di fare bene il proprio lavoro; dell’umiltà e della pazienza di saper vedere e far crescere il talento di chi ci sta accanto. Tutti bravi e in parte gli interpreti a cominciare da Depardieu che ha fatto del suo fisico imponente la propria cifra stilistico interpretativa. Dov’è allora la felicità? Forse in una tavola imbandita per i nostri cari in un giorno di festa. Una piccola curiosità: il sapore a cui fa riferimento il titolo è il gusto umami; scoperto poco più di un secolo fa dal giapponese Kikunae Ikeda, affianca i quattro tradizionali che percepiamo negli alimenti, cioè dolce, salato, amaro e acido. “Il sapore della felicità” è consigliabile e adatto per dibattiti.