Il reportage di Avvenire

«Due, cinque, tre, nove». Scandisce i numeri senza un minimo di esitazione Claudia. La clave, cioè il codice, è tutto ciò che le resta nella tenda di Reynosa, estremo oriente messicano, a pochi passi da Hidalgo, la città-gemella Usa. La clave e le foto dei quattro figli custodite in una cartella di plastica. Le estrae da sotto il materassino da campeggio e le mostra con un misto di orgoglio e dolore. Si sofferma sul ritratto del primo ragazzo, rimasto a Tegucigalpa, in Honduras, perché non c’erano abbastanza soldi per pagare per tutti il coyote, il trafficante. E lei doveva andare.

Le maras – gang che controllano le baraccopoli delle città centroamericane – volevano reclutare il secondogenito. Il rifiuto è costato al ragazzo cinque proiettili, un anno e mezzo di riabilitazione e altrettanto tempo in clandestinità nel suo stesso Paese. «Avevano decretato la luz verde, il via libera per assassinarlo. Appena i miei fratelli, che vivono negli Usa, sono riusciti a mettere insieme i soldi per il viaggio, siamo partiti, in piena notte». Dando fondo ai magri risparmi e indebitandosi, la famiglia di Claudia le ha inviato i 9mila dollari a testa chiesti dal coyote. Il “pacchetto” includeva il tragitto attraverso il Messico, fino alla frontiera statunitense e, cosa fondamentale, la clave.

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