Il più bel secolo della mia vita

In Italia c’è una legge del 1983 che permette ai figli non riconosciuti alla nascita di scoprire l’identità dei genitori biologici solo al compimento del centesimo anno di vita. Giovanni è un membro attivo della Faegn (Associazione nazionale figli adottivi e genitori naturali), che sta lavorando da tempo perché questa legge sia cambiata. Gustavo è un centenario che non ha mai conosciuto le sue origini e vive in una casa di riposo nel Nord Italia. Convinto che la sua testimonianza sia decisiva per accelerare il cambiamento, Giovanni va a prendere Gustavo per portarlo a Roma, a dare la sua testimonianza in un convegno alla presenza del Ministro degli Interni. Non tutto va come previsto…

Valutazione Pastorale

Alessandro Bardani, attore e sceneggiatore per il suo esordio alla regia cinematografica, porta sullo schermo la sua omonima opera teatrale scritta con Luigi Di Capua e interpretata da Giorgio Colangeli e Francesco Montanari, “Il più bel secolo della mia vita”. Un ironico, gustoso e commovente road movie che vede protagonisti l’arguto centenario Gustavo (un “irriconoscibile”, bravissimo Sergio Castellitto) e il puntiglioso, precisino e controllato Giovanni (Valerio Lundini, le cui frasi incompiute e la perenne indecisione ne fanno il perfetto “antagonista” dell’indomabile vecchietto). La storia. In Italia c’è una legge del 1983 che non permette ai figli abbandonati alla nascita di conoscere l’identità dei genitori biologici prima del compimento del centesimo anno di vita. Giovanni è un membro attivo della Faegn (Associazione nazionale figli adottivi e genitori naturali), che sta lavorando da tempo perché questa legge sia cambiata. Gustavo è un centenario che non ha mai conosciuto le sue origini e vive in una casa di riposo nel Nord Italia.

Giovanni va a prendere Gustavo per portarlo a Roma, convinto che la sua testimonianza a un convegno alla presenza del Ministro degli Interni sarà decisiva per avviare la revisione della legge. Non tutto, però, va come previsto, soprattutto perché Gustavo non sembra affatto interessato a conoscere il suo passato. Comincia così un lungo, surreale viaggio, pieno di imprevisti e situazioni tragicomiche, durante il quale i due, che non potrebbero essere più diversi, scopriranno un po’ di più l’uno dell’altro: lo scudo che si è costruito Giovanni per difendersi da un dolore, da una privazione che non riesce ad accettare e quello di Augusto che in fondo ha fatto lo stesso usando però l’ironia. “Il più bel secolo della mia vita” comincia con un lungo flash back, in bianco e nero, in cui consociamo Gustavo da bambino, cresciuto dalle suore in un orfanotrofio, “arrabbiato”, ostinato, ribelle e poi lo ritroviamo vecchio, altrettanto indomito, ma, almeno all’apparenza, più distaccato e sarcastico. L’atmosfera neorealista muta, con il passaggio al colore, in commedia. Nel senso migliore del termine.

Al di là delle situazioni comiche, e ce ne sono molte e godibilissime, il film affronta temi importanti: la famiglia, il rapporto con i genitori, il bisogno-diritto che ciascuno ha di conoscere le proprie radici, il saper accettare e perdonare chi ci ha abbandonato, ma anche chi ci ha cresciuto, magari sbagliando, per eccesso di protezione, non certo per mancanza di amore. “Lei è stato abbandonato come me – dice Giovanni – e se una persona non sa da dove viene, è una persona incompleta”. E Gustavo risponde “I figli non so’ di chi li fa, i figli so’ di chi li ama”. Ma, a ben vedere, l’una cosa non esclude l’altra. Un bravo regista, una sceneggiatura spumeggiante e profonda, due interpreti in sintonia, che più diversi e complementari non potrebbero essere, tempi comici perfetti e un finale capace di strappare un sorriso e una lacrima. Insieme. Questo è “Il più bel secolo della mia vita”. Ciliegina sulla torta il brano portante, “La vita com’è”, scritto da Brunori SAS. Il film è consigliabile, problematico, adatto per dibattiti.