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Il cuore che sanguina
Nella chiesa del monastero di Rosano si venera la statua del S. Cuore, che sanguinò e lacrimò in diverse occasioni. La statua, che è di altezza naturale, fu donata nel 1948 da una pia persona come adempimento di un voto fatto durante il secondo conflitto mondiale. Il volto di Cristo possiede un’espressione intensa di virile dolcezza che invita alla preghiera e al raccoglimento. Il Cuore spicca al centro del petto, circondato da una corona di spine.
Dalla Lettera del Vescovo Luciano Giovanetti, 4 aprile 1998
«La sera del 4 Aprile 1948, Domenica in Albis, durante il canto dei Vespri, si osservò per la prima volta che dagli occhi della statua cadevano gocce come di lacrime. Nel Giugno del medesimo anno un altro prodigio si aggiunse “impressionante e inatteso”: l’effusione di sangue. Tali fatti si verificarono ripetutamente tra il 1948 e il 1950 e sono avvalorati da numerosi testimoni oculari, dalle Monache stesse e in particolare dalla Rev. Madre Abbadessa M. Ildegarde Cabitza di v.m. Nell’archivio del monastero si conservano molte testimonianze giurate anche di sacerdoti, predicatori e visitatori occasionali, insieme alle analisi mediche del sangue, a manutergi e purificatoi imbevuti di sangue. Tra queste preziosa rimane la testimonianza di Mons. Angelo Scapecchi, divenuto poi Vescovo ausiliare della Diocesi di Arezzo. Dall’archivio si viene a conoscenza dell’indagine del Visitatore P. Luigi Romoli o.p. inviato dal S. Uffizio, il quale interrogò personalmente tutte le Monache imponendo alla comunità il più assoluto silenzio. In seguito, il 14 Novembre 1950, lo stesso S. Uffizio ordinò la rimozione della statua per custodirla in luogo segreto. Essa ritornò a Rosano nel 1952. La comunità di Rosano visse tali avvenimenti con intima gioia e grande emozione, ma con estrema riservatezza, tanto è vero che – come risulta dalla cronaca – non fu distolta dalle occupazioni quotidiane, ma al contrario la vita monastica proseguì più intensa secondo il motto benedettino Ora et Labora. Il fatto della lacrimazione e della effusione di sangue venne ritenuto inesplicabile dal punto di vista naturale e umano. Il mio venerato predecessore Mons. Giovanni Giorgis vide nei fatti di Rosano un appello del Signore “alla fedeltà, alla riparazione, alla preghiera”. […] Carissimi fratelli e sorelle ripensiamo con commozione quanto avvenuto cinquant’anni fa nella nostra Diocesi, vediamolo come un segno della benevolenza e dell’amore del Signore, e come invito a una seria e profonda riflessione. Rinnoviamo con gioia la nostra ardente devozione al Sacro Cuore di Gesù, e accogliendo questo messaggio chiediamo il dono di una sempre più profonda conversione al suo amore, la grazia di un crescente fervore apostolico e anche il dono di numerose e sante vocazioni sacerdotali e religiose, per fare di Cristo il cuore del mondo. Guardando al Cuore di Gesù attingeremo con gioia alle sorgenti della salvezza!»