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Il confronto sul tema del fine vita
Dopo l’ordinanza 207 del 2018 con la quale la Corte Costituzionale ha “intimato” al Parlamento di legiferare sui casi più estremi nelle scelte di fine vita, il rischio che eutanasia e/o suicidio assistito possano rientrare nei servizi offerti dal Servizio sanitario nazionale preoccupa i cattolici. Oggi a Roma al seminario su «”Diritto” o “condanna” a morire per vite “inutili”?», promosso dal «Libero coordinamento intermedio Polis pro persona», più di 30 associazioni hanno deciso di testimoniare insieme il no convinto a una legge sull’eutanasia, echeggiando il documento di sei sigle diffuso proprio ieri. Nella voce di alcune realtà aderenti alla manifestazione di oggi la convergenza su alcuni punti non derogabili.
«Crediamo nel dovere umano di opporsi al progetto di disgregazione della centralità della famiglia e della sacralità della vita in atto in Italia – rimarca Marco Invernizzi, reggente nazionale di Alleanza Cattolica –. È molto positiva la presenza di tante realtà associative a questo seminario, testimonianza del fatto che tanti oggi sono disponibili ad “alzarsi in piedi” ogni volta che la vita viene minacciata». «La nostra associazione – sottolinea Mario Sberna, presidente dell’Associazione Famiglie numerose – è composta da coppie che si sono aperte alla vita e l’hanno accolta sempre come un dono. Così consideriamo la vita: un inestimabile dono, anche se malata, inabile, sofferente, faticosa. Nessuna legge può decidere che finisca tre metri sotto terra. Nemmeno se lo volesse il dono stesso. Perché la vita vale». «Il concetto di vita inutile, indegna – fa eco Emmanuele Di Leo, presidente di Steadfast onlus – si sta facendo largo prepotentemente nella società, portando a una deriva eutanasica che pare inarrestabile, ma che invece va fermata. I casi di Charlie Gard, Isaiah Haastrup e Alfie Evans hanno reso evidente che questa cultura permette l’uccisione di persone inermi, malate e disabili che fino a poco tempo fa sarebbe stato normale accudire». «Il nostro timore – afferma Francesco Napolitano, presidente dell’Associazione Risveglio – è che il legislatore possa rimettere mano alla legge sulle Dat in modo ancora più negativo. Cerchiamo piuttosto di modificarlo in meglio. Sono 22 anni che ci occupiamo di disabilità estrema e stati vegetativi, quindi queste norme troveranno applicazione nel nostro settore».
«Il nostro scopo – precisa Alfredo Mantovano, vice presidente del Centro Studi Livatino e relatore al convegno di oggi con Assuntina Morresi – è rendersi conto della posta in gioco: ossia che l’aiuto al suicidio venga “medicalizzato” all’interno del Ssn, che così non sarebbe più orientato alla cura della persona ma alla sua soppressione. Secondo la Corte, prima di attivare la procedura di fine vita è necessario sottoporre il paziente alle cure palliative. Esiste una legge, la 38, che ha 10 anni e che però non ha dispiegato i suoi effetti perché non adeguatamente finanziata». «All’interno di molte nostre case famiglia – racconta Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità papa Giovanni XXIII – ospitiamo adulti, ma anche bambini, con caratteristiche simili a quelle di Lambert. Possiamo attestare con certezza la gioia di vivere di queste persone, che hanno un modo di comunicare che ovviamente ai nostri occhi è limitato, ma per chi li conosce bene è espressivo e desideroso di vivere. Poter togliere loro alimentazione e idratazione sarebbe disumano». «Di fronte al dolore e alla sofferenza – evidenzia Massimo Gandolfini, presidente del Comitato Difendiamo i nostri figli – la società sembra non avere più alcuna risposta che non sia eliminare il problema eliminando il malato. Invece vogliamo contrastare con tutte le forze queste gravi derive sociali e morali, è nostro scopo alimentare la cultura del servizio e del soccorso in questi stati di grave disabilità, anche incentivando quanto lo Stato già prevede con la legge 38».
«Non esiste un diritto alla morte e non esistono vite inutili – rileva Carlo Costalli, presidente del Movimento Cristiano Lavoratori –. La deriva eutanasica che sta coinvolgendo molti Paesi europei non può allargarsi al nostro Paese e replicare, anche da noi, quella cultura dello scarto che è il trionfo ultimo dell’utilitarismo. Viviamo nel paradosso per cui le pretese diventano diritti e i veri diritti, come la vita o la cura, si trasformano in semplici rivendicazioni. Siamo sempre stati orgogliosi del nostro Paese: vogliamo continuare a esserlo». «Il nostro obiettivo – indica Felice Achilli, medico e presidente di Medicina e Persona – è cercare di posizionare lo sguardo sulla realtà vera di chi cura e di chi chiede di essere curato. Chi fa il nostro lavoro capisce che il rischio è l’abbandono terapeutico e che una mentalità che ritiene la persona riconducibile alle sue performance giudichi che a un certo punto la cura sia un optional. La nostra sfida è cercare di creare sempre di più luoghi dove la persona faccia l’esperienza di essere presa in carico, non abbandonata».
«Dinanzi alla dilagante cultura di morte e all’inquietante pervasività della biopolitica con le conseguenti ricadute legislative – è l’opinione di Olimpia Tarzia, presidente del Movimento Per – non possiamo tacere né rassegnarci, né rimanere inerti. Siamo nati per diffondere una politica fondata sui principi non negoziabili e vogliamo portare il nostro contributo di pensiero sulla necessità di ritrovare unità tra i cattolici sulla consapevolezza di dover coniugare etica sociale ed etica della vita e sulle azioni da intraprendere insieme a livello parlamentare».