I poveri alla Caritas: così pesano crisi bassi salari e Rdc che non copre tutti

Quanto ha inciso la pandemia sulla crescita della povertà? E quanto il Reddito di cittadinanza e quello di emergenza hanno mitigato le difficoltà della crisi? Non è semplice scorporare i dati del Rapporto Istat, ma qualche risposta può venire sovrapponendoli a quelli raccolti sul campo dalla Caritas che pubblicherà a luglio una nuova analisi, di cui possiamo anticipare qualche cifra. L’istituzione caritativa della Chiesa cattolica, infatti, è stata da subito in prima linea nell’affrontare la ‘pandemia sociale’ scoppiata a seguito del Covid tramite la sua rete capillare di centri di ascolto, mense, supermercati solidali, pacchi alimentari e sostegno delle famiglie. Un osservatorio privilegiato che conferma innanzitutto la portata devastante della pandemia sul piano economico sociale. Se, infatti, prima del Covid ai centri Caritas si rivolgevano in media 200mila persone l’anno, con un trend in calo, solo tra marzo e maggio 2020 sono stati ben 450mila a bussare alla porta delle Caritas, per arrivare poi a 545mila tra settembre 2020 e marzo 2021. Tra questi, il 60% è italiano (erano il 44% nel 2019) e per quasi un terzo si trattava di persone che per la prima volta si rivolgevano a un centro di aiuto. Tra i nuovi profili di povertà si rintracciano alcune costanti: anzitutto la presenza di giovani coppie o genitori singoli con figli minori, in cui l’unico adulto che lavora ha redditi inferiori a 1.000 euro. E poi single con meno di 34 anni o sopra i 55 che non lavorano (e non hanno pensione). Parallelamente si assiste alla cronicizzazione della intensa deprivazione di chi già si rivolgeva alla Caritas, in particolare persone disoccupate con basso livello di istruzione. L’impatto della crisi è ben visibile nei 7 nuclei su 10 di beneficiari continuativi con al proprio interno un membro che ha subito la sospensione dell’attività lavorativa; mentre in un quarto delle famiglie un componente ha perso il lavoro e in un sesto dei casi c’è stata una riduzione dell’orario (e del salario).

L’indagine Istat è basata sui consumi e dunque occorrerebbe calcolare la tara di lunghi periodi di lockdown a negozi chiusi e acquisti ridotti. Ma, assieme alle rilevazioni Caritas, fornisce comunque alcune indicazioni anche su come abbia o non abbia funzionato il Reddito di cittadinanza che, con maggiore evidenza in questa occasione, ha mostrato da un lato il suo essere essenziale per mitigare gli effetti della crisi, ridurre l’intensità della povertà stessa e far calare quella relativa; ma dall’altro tutti i difetti propri più volte evidenziati. Anzitutto quello di non ‘coprire’ esattamente l’area della povertà assoluta per i limiti all’accesso degli stranieri (il 30% dei nuclei è in povertà assoluta ma nella gran parte non riceve benefici) e la scala di equivalenza di redditi e assegno che non valorizza come dovuto le famiglie con figli, la categoria più a rischio povertà secondo i dati Istat. Tanto che i minori poveri sono in crescita costante. E ancora, l’omogeneità a livello nazionale degli importi che penalizza in particolare gli abitanti del Nord e dei centri metropolitani, in cui il costo della vita è più elevato. Infine, migliorare il collegamento con i servizi sociali e il Terzo settore.

Sullo sfondo restano due questioni fondamentali: il rapporto tra Rdc e le politiche attive per l’occupazione, anzitutto. Ma non di meno la necessità di elevare il livello minimo dei salari e combattere il ‘nero’: i dati della Caritas, infatti, segnalano che il numero di occupati poveri, remunerati con meno di 1.000 euro al mese, è particolarmente elevato.