I dati emersi da una ricerca americana

Il calo delle nascite è un fenomeno che interessa vaste aree del mondo, anche se è nelle economie più avanzate che la tendenza ha incominciato a preoccupare, perché il dimagrimento delle famiglie porta con sé una serie di effetti in grado di compromettere la stabilità economica e sociale di una comunità. Per questo sono moltissime le ricerche che tentano di comprendere le ragioni più profonde della crisi demografica, che cioè provano a indagare i motivi per cui le persone decidono di avere meno figli o di non averne affatto. Ma per quanto gli sforzi producano sempre più materiali, c’è una questione di fondo cui è difficile venire a capo: pesano di più le ragioni culturali o quelle materiali nella scelta di diventare genitori?

Si può discutere a lungo, dividendosi amabilmente tra chi sostiene che le condizioni economiche o ambientali siano prevalenti e tra chi invece ritiene che sia la cultura delle persone nel mondo sviluppato ad essere profondamente cambiata e ad aver messo la famiglia in una prospettiva marginale rispetto al passato. Nella consapevolezza che a incidere sono sicuramente entrambe le questioni, il tema resta provare a capire come e perché alcuni aspetti sembrano essere prevalenti oggi, e come si può intervenire per migliorare le condizioni di vita delle persone e le prospettive delle nostre società.

Un sondaggio realizzato di recente negli Stati Uniti da Harris Interactive e Archbridge Institute (tinyurl.com/harnasc) sembra offrire indicazioni interessanti in quanto i ricercatori sono andati a intervistare un migliaio di persone chiedendo quali sono i loro progetti familiari, ma poi si sono concentrati in particolare sulle persone che non hanno figli. Ed è emerso che poco più della metà di chi non è genitore non ha alcuna intenzione di diventarlo in futuro, mentre un altro 20% si dice molto incerto. Più di due terzi di chi non ha prole, insomma, non ha una gran voglia di mettere su famiglia superando la dimensione della coppia. E il motivo è che fondamentalmente sono mossi dal desiderio di conservare la propria indipendenza.

Detto così può apparire scontato. Una delle fatiche maggiori dei genitori oggi è proprio la difficoltà nel trovare spazi personali di realizzazione, ovvero momenti veri di libertà dai carichi familiari in una società in cui, peraltro, tutti sembrano fare veramente di tutto, mostrandosi anche sempre sorridenti grazie alla condivisione istantanea delle esperienze. In un recente intervento pubblicato sul “New York Times” (tinyur.com/nytt50) la testimonianza dell’autrice ha fatto esibizione della grande felicità che deriva da una separazione di fatto in quanto, grazie a un accordo “salomonico” di affido condiviso dei figli, è possibile riconquistare metà del proprio tempo per dedicarsi ad attività solo per sé stessi. Anche senza arrivare al divorzio.

Le cose, però, non sono così semplici. Nel sondaggio americano solo il 28% ha dichiarato di non volere figli perché preoccupato per la crisi climatica, un terzo ha parlato dei prezzi delle case, altri della situazione politica (31%), della sicurezza (31%), della situazione finanziaria personale (46%) e della difficoltà a tenere in equilibrio lavoro e vita privata (40%). L’unico fattore che si è preso veramente la maggioranza (54%) è stato proprio il mantenimento dell’indipendenza personale, senza una differenza rilevante tra maschi e femmine.

Ora, è evidente che se dietro alla scelta di restare da soli o al massimo in due vi è un motivo di questo tipo, è difficile pensare che una politica pubblica di intervento economico possa influire più di tanto nella decisione di avere un figlio. Certo, il lavoro, la casa e una buona prospettiva di futuro restano fattori determinanti per il numero di bambini che viene al mondo in un Paese, così come il numero di matrimoni, di immigrati da realtà con tassi di fecondità più alti, e soprattutto un buon sistema di welfare oltre che di aiuti economici e non solo. Tuttavia, è difficile immaginare che, se la percezione della famiglia resta quella che rilevano i sondaggi, la tendenza possa mutare in modo significativo. Eppure, c’è qualcosa di paradossale in tutto questo. Perché se da un lato le persone che non vogliono darsi una discendenza compiono scelte consapevoli collegandole a una prospettiva che sostanzialmente rimanda alla felicità, dall’altro quando si leggono le ricerche sulla soddisfazione personale emerge che è proprio la realtà della famiglia quella capace di restituire più senso della vita (tinyurl.com/wsens), così come l’attività con i figli si rivela essere altamente appagante, in grado di rendere i genitori mediamente più gioiosi di chi non lo è (tinyurl.com/felich).

Quello che si potrebbe obiettare della ricerca di Harris è che è stata condotta intervistando soprattutto persone adulte, mentre tra le generazioni più giovani la preoccupazione economica o per il mondo che i figli si troveranno ad abitare sembrano prevalere rispetto a una risposta che è più riconducibile a una prospettiva individualista e a uno sguardo sulla vita maggiormente rivolto a sé. I tempi cambiano, insomma, e così anche la cultura, dunque è difficile fare previsioni. Ciò di cui si dovrebbe far tesoro, tuttavia, è che, probabilmente, se l’intenzione è avere persone più felici, allora bisogna incominciare a fornire un’immagine un po’ più autentica di come si può vivere veramente in una famiglia con figli. Che sì, insomma, può essere molto faticoso, ma in fondo non è poi così male come si crede.