I cooperatori Paolini in cammino verso il Giubileo

L'incontro nella chiesa di S. Ferdinando

Nella Parrocchia di San Ferdinando i Cooperatori Paolini e i parrocchiani hanno avuto un incontro di preparazione al Santo Natale guardando all’anno giubilare che tra pochi giorni avrà inizio.

Il Giubileo affonda le proprie radici negli albori dell’alleanza tra il Creatore e il popolo eletto con la consegna delle tavole della legge a Mosè sul Monte Sinai intorno al 1250 a.C. e già una quarantina di anni dopo nel 1207 ci fu la prima celebrazione come leggiamo al capitolo 25 del Levitico :“conterai sette settimane di anni cioè sette anni per sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di 49 anni. Al 10º giorno del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno (qéren jobel  da cui deriva etimologicamente la denominazione di giubileo), nel giorno dell’espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra. Dichiarerete Santo il 50º anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti”. Connessa alla dimensione spirituale nel giubileo ebraico c’era anche la dimensione sociale perché veniva sancito che in quell’anno tutti sarebbero rientrati in possesso delle proprietà precedentemente vendute con una “nuda proprietà” ante litteram: “regolerai l’acquisto che farai dal tuo prossimo in base al numero degli anni trascorsi dopo l’ultimo Giubileo: egli venderà a te in base agli anni di raccolto. Quanti più anni resteranno, tanto più ribasserà il prezzo perché egli ti vende la somma di raccolti”. Gli storici sono però abbastanza concordi nel ritenere che una forma così radicale di restituzione non sia stata la prassi ma una sorta di indicazione ideale, tesa a superare le ingiustizie.

Anche Gesù si confrontò con questa tradizione quando lesse un brano biblico nella sinagoga di Nazareth: “lo Spirito del Signore è sopra di me; e questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore” (Isaia 61, 1-2) e lo spiegò così: “oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Luca 4, 21).

A partire dal IV secolo con San Girolamo nella traduzione in latino della Bibbia fu coniata la parola iubilaeus col significato di gioia e i teologi medievali approfondirono maggiormente questo aspetto identificandolo come momento propizio. Prima dell’anno Santo del Trecento si erano avuti dei percorsi di grazia con la misericordia divina che si riversava sul popolo di Dio e la circostanza specifica l’abbiamo nel 1216 quando Papa Onorio III accolse la supplica di San Francesco di un indulgenza per coloro che avrebbero visitato la Porziuncola nei primi due giorni di agosto, e pochi anni dopo Papa Callisto II concesse la celebrazione del giubileo nel santuario di Santiago di Compostela ogni volta che il 25 luglio, festa dell’apostolo Giacomo, fosse caduta di domenica. Infine nel 1294 Papa Celestino V stabilì per il 28 e 29 agosto di ogni anno “la perdonanza” per i pellegrini nella basilica di Santa Maria di Collemaggio all’Aquila.

Venendo a questo anno Santo, Papa Francesco, percorrendo proprio questo cammino, ha  evidenziato come la vita cristiana ha bisogno di momenti forti per nutrire e irrobustire la speranza “insostituibile compagna che fa intravedere la meta: l’incontro con il Signore Gesù” e invita noi pellegrini di speranza a metterci in cammino per andare alla ricerca del senso della vita e per riscoprire il valore del silenzio, della fatica e dell’essenzialità. Proprio per questo la bolla del Giubileo si intitola Spes non confundit, richiamando quanto scritto 2000 anni fa dall’apostolo Paolo per infondere coraggio alla comunità cristiana di Roma: “la speranza poi non delude” (Romani,5 5). Papa Francesco nel presentare questa bolla ha voluto aprire uno sguardo innanzitutto all’esterno facendo capire che la società in cui viviamo immersa solo nel presente è incapace di guardare al futuro ha bisogno di speranza. Una società che si trascina nel grigiore dell’individualismo e del tirare a campare, i popoli e le nazioni che si affacciano al domani sono carichi di inquietudine e di paure mentre le ingiustizie si protraggono con arroganza, i poveri vengono scartati, le guerre seminano morte, gli ultimi restano ancora in fondo alla lista e il sogno di un mondo fraterno rischia di apparire come un miraggio. Rivolgendosi invece alla Chiesa pure nella fatica e nella fragilità non deve mai dimenticarsi di essere “la Sposa di Cristo, amata di un amore eterno e fedele, chiamata a custodire la luce del Vangelo, inviata a trasmettere a tutti il fuoco che Gesù ha portato e acceso nel mondo una volta per sempre…… il Signore risorto e asceso al cielo ci doni la grazia di riscoprire la speranza, di annunciare la speranza, di costruire la speranza”.