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I contratti collettivi
Uno strumento per le aziende

Dal 2016 è attiva, nel nostro paese, una banca dati nel quale sono presenti i contratti collettivi di secondo livello, aziendali e/o territoriali, che prevedono misure tese ad incrementare la produttività delle imprese.
Dallo stesso anno l’Italia si è dotata, infatti, di una normativa specifica che disciplina i criteri di misurazione degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione ai quali i contratti aziendali o territoriali legano la corresponsione di premi di risultato di ammontare variabile nonché i criteri di individuazione delle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa.
Con specifico riferimento ai premi di risultato i contratti collettivi aziendali o territoriali devono prevedere criteri di misurazione e di verifica degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione che possono consistere in un aumento della produzione, un risparmio dei fattori produttivi, un miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi (riorganizzazione dell’orario di lavoro, ricorso al lavoro agile) il cui raggiungimento sia verificabile in modo obiettivo attraverso il riscontro con indicatori numerici o di altro genere appositamente individuati in sede di contrattazione collettiva.
Anche la Legge di Bilancio per il 2025, approvata dal Governo Meloni,ha confermato la detassazione sui premi corrisposti e sostiene la crescita dello strumento contrattuale come stimolo alla produttività.
Sono, quindi, ben 11.491 i contratti depositati ed attivi al 17 marzo 2025, il 7,6% in più rispetto alla metà di marzo dello scorso anno, con un incremento di 829 contratti in un mese.
Diverse sono le finalità dei contratti attivi: 9.344 obiettivi di produttività, 7.398 di redditività, 5.958 di qualità, mentre 1.207 prevedono un piano di partecipazione e 6.966 misure di welfare aziendale. A beneficiarne sono oltre 3 milioni di lavoratori, cui è riconosciuto un premio medio annuo di 1.581 euro.
Rispetto alla dimensione delle aziende che si avvalgono di questo strumento si evidenzia come metà di queste siano imprese con meno di 50 dipendenti. La quota restante si divide tra le aziende con almeno 100 dipendenti (35%) e quelle di fascia intermedia con numero di dipendenti compreso tra 50 e 99 (15%).
Viene, quindi, da chiedersi se nel contesto economico e sociale italiano caratterizzato, come rimarcato solo pochi giorni fa a livello internazionale, da retribuzioni basse e poco competitive, lo strumento della concertazione a livello micro (aziendale o di territorio) possa rappresentare uno strumento prezioso per invertire una tendenza cronicizzata e, per molti aspetti, preoccupante.
Anche, infatti, dalla capacità di essere produttivi e di ridistribuire la crescita passa la tenuta di un modello socio economico come quello italiano chiamato, peraltro come gli altri paesi, ad affrontare le grandi trasformazioni in corso.