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«I consumatori? Sono raddoppiati»
Sempre più teste sotto la sabbia. Sempre meno capacità, anzi voglia, di dare risposte. L’amarezza di Luciano Squillaci, il presidente della Federazione italiana delle comunità terapeutiche (Fict), vien fuori quasi ad ogni parola. Insieme alla rabbia di non essere ascoltati.
Servono ancora le comunità terapeutiche, presidente?
Assolutamente sì. Ma per come si sono evolute, perché rispetto a trent’anni fa ci sono professionisti, interventi terapeutici costruiti sulle evidenze scientifiche e servizi accreditati col sistema sanitario.
Cosa invece non è cambiato?
La disperazione della persone e dei familiari e la loro solitudine. Che per certi aspetti, sono anche peggiori.
Peggiori?
Per l’indifferenza. A cominciare da quella colpevole della politica, che nemmeno può più nascondersi dietro un’ignoranza generalizzata rispetto alle dipendenze. Abbiamo due morti al giorno per droga e un aumento negli ultimi quattro anni impressionante di dipendenze: sono quasi raddoppiati i consumatori di sostanze stupefacenti. Sono dati certificati dalle Relazioni annuali al Parlamento sulle dipendenze. Eppure, quando veniamo chiamati in audizione dalle Commissioni parlamentari, i politici ascoltano e si meravigliano. Sentono dei numeri che abbiamo in Italia e trasecolano.
Come se ne esce?
Solo in un modo: con la volontà di uscirne.
Tradotto in pratica?
Le cose da fare sono paradossalmente molto semplici. La prima è una seria riforma normativa, ricordiamoci che abbiamo ancora la legge di trentuno anni fa, il testo unico sulle droghe Jervolino Vassalli. Chiedo, allora: possibile non ci si renda conto come la risposta a un fenomeno, che si evolve quotidianamente e deve tener conto di oltre cento nuove sostanze psicotrope ogni anno, costruita sul vecchio eroinomane, ormai non regga più?
Fenomeno nella risposta al quale, per altro, storicamente siamo sempre stati indietro almeno di sette od otto anni.
Sappiamo, come da Relazione, che almeno mezzo milione di persone in Italia avrebbero bisogno d’un intervento strutturale terapeutico per uso di sostanze psicotrope, eppure il sistema dei servizi ne intercetta meno di 140mila, uno su cinque. Dunque, qualcosa non funziona e il sistema non è adatto.
Però si confida, al solito, sulla buona volontà e disposizione degli operatori del pubblico e del privato.
Ma non è possibile continuare a farlo. Non possono essere sempre e soltanto loro a inventarsi servizi e trovare soluzioni. Senza contare che siamo completamente dimenticati: l’emarginazione degli operatori del settore è ormai diventata veramente strutturale.
Sarebbe a dire?
Nel momento in cui un medico, un infermiere, uno psicologo, uno psichiatra, un educatore entra nel sistema dei servizi alle dipendenze, immediatamente vive una situazione di emarginazione, proprio come quella dei tossici. Che, mentre le dipendenze sono cambiate radicalmente e non sono più legate necessariamente alle sostanze, sempre più spesso vengono assimilati alla figura del “dipendete vizioso”.
Esempio?
Il giocatore d’azzardo: dobbiamo sperare che si faccia anche di qualcosa, altrimenti è difficilissimo vederlo accedere ai servizi. Questo sì, quasi quotidianamente, ci fa chiedere se siamo nel 2021 o ancora nel 1985…