Houria – La voce della libertà

Algeri, oggi. Houria vive con la madre e lavora con la sua amica Sonia come cameriera in un albergo. Il suo sogno è diventare una ballerina classica e per farlo si allena duramente con alcune compagne. Per comprare un’auto a sua madre di notte Houria scommette sugli incontri clandestini tra arieti. Tornando a casa con una consistente vincita la giovane viene seguita e aggredita. Si sveglia in ospedale ferita nel corpo e nell’anima.

Valutazione Pastorale

In concorso alla 17ᵃ Festa del cinema di Roma – Sezione Progressive Cinema, “Houria. La voce della libertà” è la seconda regia di Mounia Meddour. Classe 1978, madre russa e padre algerino ma cresciuta in Francia, la regista torna a raccontarci una storia ambientata in Algeria dopo “Non conosci Papicha” presentata a Cannes e vincitrice di due César nel 2020. La storia: Algeri, oggi. Houria (Lyna Khoudri, vista in “The French Dispatch” e “November. I cinque giorni dopo il Bataclan”) vive con la madre Sabrina e lavora con la sua amica Sonia come cameriera in un albergo. Il suo sogno è diventare una ballerina classica e per farlo si allena duramente con alcune compagne. Per comprare un’auto a sua madre di notte Houria scommette sugli incontri clandestini tra arieti. Tornando a casa con una consistente vincita la giovane viene seguita e aggredita. Si sveglia in ospedale con una caviglia fratturata. La violenza subita le ha tolto i sogni e la voce: Houria non parla più. Seguita con amore e apprensione da Sabrina (Rachida Brakni) e da Sonia (Hilda Amira Douaouda), comincia un lungo e faticoso percorso di riabilitazione, durante il quale conosce un gruppo di donne anch’esse segnate da traumi e lutti. Una madre che ha perso il figlio in un attentato; un’orfana passata da una famiglia adottiva all’altra; una non udente, due giovani rapite dai terroristi, un’altra rifiutata dal marito perché sterile e un’altra ancora che nasconde i suoi problemi nella bulimia.

Intanto, accompagnata dalla madre, la giovane presenta la denuncia contro il suo aggressore. Purtroppo, ben presto scopre che l’uomo è un ex terrorista a cui sono riconducibili numerosi attentati, ma che, dopo essere stato “graziato”, è diventato praticamente intoccabile: “La giustizia ha fatto il suo corso, il caso è chiuso”. Houria non si arrende e si rivolge a una avvocato. Intanto impara la lingua dei segni e ricomincia a danzare. Non a livello professionistico certo, ma può insegnare alle sue nuove amiche, preparando con loro una coreografia. Le prove, però, non sono finite e Houria dovrà affrontare un nuovo grande dolore. “Houria. La voce della libertà” è una storia di resilienza e desiderio di libertà. Una storia di donne, in un Paese che ha scelto di mettere una pietra sopra il proprio recente passato, fatto di guerre civili e attentati terroristici: rimozione più che perdono. Un desiderio di libertà, emancipazione, in cui il silenzio, la voce spezzata sono il segno delle speranze tradite, delle possibilità negate. E allora non resta che la danza, su un terrazzo, in alto, alla luce del sole, con i segni che, nella coreografia, si fanno voce di chi, come Houria e le sue amiche, non rinuncia a tenere viva la speranza.

La sceneggiatura è sovrabbondante, ma di storie, non di parole. La forza è nelle immagini, nei corpi delle donne, che la macchina da presa insegue, scruta ed esalta. Meravigliose le interpreti. Houria in arabo significa “libertà” e “donna indipendente”, perché, come dice Sonia: “Non è la fine del viaggio, ma l’inizio di una nuova vita”. “Houria. La voce della libertà” è consigliabile, poetico, adatto per dibattiti.