Diocesi
Francesco Fiordaliso: Prete nella Chiesa di Livorno
“Prete nella Chiesa di Livorno” è il volume che don Piergiorgio Paolini ha dedicato al giovane sacerdote diocesano don Francesco Fiordaliso a un anno dalla sua morte. Tra i due non esisteva solo un rapporto tra discente e studente, nato ai tempi del seminario, ma un rapporto di reciproca stima, un rapporto amicale, un rapporto di mediazione, infatti come scrive lo stesso don Paolini nella prefazione: “La mediazione è centrale nella prospettiva cristiana”.
Il volume si sviluppa su diversi punti, dall’autobiografia, al Vangelo dei poveri, dai pellegrinaggi fino alla postfazione di don Paolini. Un cammino in cui emergono gli aspetti della sua persona e della sua storia, in quella dimensione, come scrive ancora don Paolini nella prefazione “se lo Spirito Santo è operante nella vita delle persone, è importante custodirne la memoria perché solo così la Chiesa cresce”.
Il volume si apre con la poesia “Guarda là”, in cui Francesco dice: “A me piace pensarmi così: un prete imperfetto che dice a se stesso e agli altri: guarda là, guarda Gesù crocifisso e risorto, ne vale davvero la pena . . .”.
La Chiesa -afferma ancora- è una comunità viva “dove edificare la Chiesa del Signore e non la mia”. La Comunità Papa Giovanni XXIII, “incarna il mio sogno” nel privilegiare i poveri. Non mancano alcuni rilievi umoristici sulla sua persona “oltre agli anni sono aumentati anche i chili”.Perché Francesco, bisogna pur dirlo, era una persona di spirito, aveva la battuta pronta, ma diceva anche: Guarda a Gesù, non farti distrarre dalla stupidità corrente, soprattutto da quella religiosa, dai bigotti, dai fanatici di Radio Maria, da Medjugorje e da Padre Pio.
Francesco ha un lungo momento di crisi, sente, come dice don Paolini, “il peso” di essere parroco, con tutte le noie dei suoi adempimenti burocratici, prevale in lui la stanchezza, la voglia di mollare tutto, arriva a dire: “non riesco più a riconoscermi in quel servizio che l’ufficio di parroco prevede”.
Poi, finalmente, diviene il cappellano delle carceri di Livorno, e dice: “non si può essere cristiani senza spendersi per i poveri, gli ultimi, i piccoli”. “In carcere ho ritrovato le cose essenziali dell’esperienza di Gesù” e per questo “grandi cose ha fatto per me, perché mi ha riportato a ciò che conta veramente”. “Un servizio che si è rivelato per me un dono meraviglioso”. Ma lo coglie la malattia. All’inizio sembra poca cosa, ma poi “mi sento avvolto, travolto, abbracciato da centinaia di persone che mi fanno sentire il loro affetto e la loro vicinanza”. Ls morte avviene il 28 maggio 2021, il tumore si era diffuso alle meningi.
Un capitolo del volume prende in esame “la percezione del mistero di Dio” in Francesco, dove evidenzia come la “Chiesa profetica” sia la Chiesa dei martiri: Paolo Borsellino, Aldo Moro, Vittorio Bachelet. Nel considerare la sua vita cristiana, Francesco si fa interprete di una “povertà modellata sulle beatitudini”, una povertà da condividere con gli stessi poveri. Parla anche delle sue passioni, da Gaber a De Andrè, ai Pink Floyd, dall’amore per gli animali “volevo fare il veterinario”, all’amore per la montagna, il cinema e i fumetti, e “l’odio per tutto ciò che sa di intruppamento, di massa”.
Nella parte “Nella Chiesa di Livorno”, don Francesco dice: “la mia appartenenza alla Chiesa si realizza in modo concreto e pratico nell’amore per la mia chiesa locale”. Essere “incardinato” per lui significa “amare il Vescovo e i confratelli”, “amare la gente della diocesi”, “obbedire dicendo la mia e cercando il bene della gente”, “saper chiedere e dare perdono”, ma dice anche “ho la sensazione di essere in una chiesa dove si gioca a “impallinarsi” a vicenda”. Ma bisogna -dice ancora Francesco- trovare una rinnovata fiducia nell’opera di Dio e perseguire la logica del servo.
Gli ultimi tre capitoli del volume don Paolini li dedica a: “Spezzare il pane”, “Il Vangelo dei poveri” e “Gerusalemme”. Nel primo don Francesco evidenzia il modo di esprimersi del vescovo, Mons. Alberto Ablondi, e manifesta la sua “gratitudine per la sua parola, detta e scritta, mai banale, mai ripetitiva”. “Una parola capace di trasmettere sempre e coinvolgere chi ascoltava”. Da lui -commenta don Paolini- ha preso il suo stile “incalzante”. Nella Comunità Papa Giovanni, don Francesco commentava, negli incontri estivi dal luglio 2005 al luglio 2021, alcuni testi biblici, tra gli ultimi: la lettera agli ebrei, i Vangeli di Marco, Giovanni, Luca e Matteo. Erano “I deserti di Sant’Agata”, perché tenuti a Sant’Agata Feltria in provincia di Rimini. Deserti che esprimevano “il silenzio” che viene illuminato dalla Parola di Dio, un deserto che spinge alla vocazione di seguire Gesù, crocifisso e risorto, povero e servo, che espia il peccato del mondo.
Nel “Vangelo dei poveri” Francesco rivela la loro centralità nella sua vita. Infatti si definisce povero, un povero che incontra i poveri per servirli, per condividere le loro povertà, poveri vittime della società del profitto, vittime della cattiveria degli uomini e della vita. “Insieme a loro il Vangelo è vero, concreto, ciccia”, dove quel “ciccia” dice tutto dell’immedesimarsi di Francesco!. Come cappellano del carcere afferma: “è bellissimo farsi insegnare il Vangelo da loro, anche se non ne hanno la più pallida idea!”
Poi: Gerusalemme! Gerusalemme, “la città dove tutte le diversità convivono, tutte le città hanno cittadinanza”. Don Francesco ha compiuto ben dodici viaggi in questa città dal 1986 al 2018, i primi guidati proprio da don Paolini. Nel pellegrinaggio del 2004 Francesco scrive di una città “Spenta, morta, rassegnata a un muro alimentato dalla paura e costruito dall’arroganza e dalla prepotenza”. “un paese povero e triste. Una chiesa povera, isolata, agonizzante”. Cosa dire di queste parole con quello che sta avvenendo in questi tristi giorni? Don Francesco scrive: Gerusalemme “è la città amata e odiata da Dio, è la città delle contraddizioni”. Scendendo dal Monte degli Ulivi Gesù dice: “Gerusalemme, tu non hai riconosciuto la pace!”. Gesù vede questa pace che sta arrivando nella sua persona e constata l’incapacità della città ad accoglierlo. Gesù piange: “sono lacrime di chi crede nella possibilità di instaurare la shalom nel mondo. Quando noi ci commuoviamo di fronte a cere scene è perché le lacrime ci stanno ricordando che noi ci crediamo”.
Il volume termina con la postfazione di don Paolini che compendia in modo ampio e esaustivo tutta la vita di don Francesco Fiordaliso. Viene condotta una indagine interpretativa che coinvolge anche il lettore più sprovveduto ….. e che invitiamo tutti a leggere!