Facciamo il punto sull’assegno di inclusione

Le nuove misure hanno raggiunto l'obiettivo?

L’Assegno di Inclusione (l’ADI) è, come ormai noto, una misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, rivolta ai nuclei familiari in cui sono presenti componenti con disabilità, minorenni o con almeno 60 anni di età ovvero in condizione di svantaggio e inseriti in programmi di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari territoriali certificati dalla pubblica amministrazione.

Una volta che la domanda viene accettata il servizio sociale svolge un’analisi multidimensionale finalizzata a verificare l’attivabilità (o meno) al lavoro dei componenti, a individuare i bisogni del nucleo familiare e a definire i successivi percorsi personalizzati.

A seguito di questo incontro viene individuato per le persone beneficiarie della misura uno delle 4 tipologie di percorsi potenzialmente attivabili e i relativi obblighi: percorso 1 con obbligo di attivazione lavorativa e sociale, percorso 2 con  facoltà di attivazione lavorativa e sociale, percorso 3 con facoltà di attivazione del Supporto per la Formazione e il Lavoro (SFL) ed, infine, il percorso 4, con obbligo di attivazione sociale e facoltà di attivazione lavorativa.

In questo quadro il Ministero ha reso disponibili, nei giorni scorsi, due nuovi strumenti operativi per accompagnare i beneficiari, e gli operatori, dell’Assegno di inclusione (ADI), nell’applicazione del percorso dedicato ai nuclei con all’interno componenti con obbligo di attivazione lavorativa e sociale.

Il percorso 1 “Obbligo di attivazione lavorativa e sociale”, è forse opportuno ricordarlo, è quello che riguarda, in particolare, i componenti del nucleo di età compresa tra i 18 e i 59 anni che esercitano la responsabilità genitoriale e non hanno valide cause di esclusione dalla ricerca di lavoro.

Una volta individuato il percorso il cittadino deve per finalizzare la “pratica” dovrà recarsi presso il Centro per l’impiego competente territorialmente per sottoscrivere (o integrare, qualora già precedentemente stipulato) il  Patto di Servizio Personalizzato (PSP).

Il PSP può prevedere la frequenza ad un corso di formazione più o meno complesso/qualificante, la ricerca di lavoro, la partecipazione ai Progetti Utili alla Collettività (PUC) o ad altre iniziative di politica attiva o di attivazione.
In caso di mancata partecipazione, senza giustificato motivo, alle attività previste nel PSP,  e/o alle convocazioni del Centro per l’impiego, o di mancata accettazione di
un’offerta di lavoro congrua da parte di un membro della famiglia, il beneficio, secondo il principio di condizionalità, decade per l’intero nucleo di appartenenza.

Nei prossimi mesi/anni riusciremo, probabilmente, a capire se le nuove misure sostitutive del Reddito di Cittadinanza hanno raggiunto il loro obiettivo, ossia di riportare, in modo ovviamente dignitoso, più persone possibile da condizioni di esclusione sociale e povertà nel mondo del lavoro produttivo. Un metodo potrebbe essere, ad esempio, quello di individuare buone pratiche dei territori e renderle, con le dovute correzioni, sistemiche in tutto il paese.

La povertà, anzi forse è più corretto dire, le povertà sono ben lungi dall’essere sconfitte e solo con un’azione quotidiana si può provare a farlo. L’auspicio, visto anche la complessità del problema ma anche dei soggetti coinvolti trasversali a tutte le parti politiche, è che non vi sia, su questi tempi, un approccio ideologico e/o partigiano e che si operi, in maniera quasi artigianale, per una modulazione, in continuo progress, di una misura il più possibile equa e giusta e sostenibile per tutti.