Europa, la sfida di tornare alle idee dei padri fondatori

L’approssimarsi delle elezioni al Parlamento europeo ripropone una domanda, alla quale si fatica a rispondere in maniera univoca: quale Europa vogliamo? Una breve memoria storica può aiutare a delineare una risposta, sia pur provvisoria: appena dopo la Prima guerra mondiale Oswald Spengler aveva usato la categoria di “tramonto” per evocare le tendenze dissolvitrici della modernità europea-occidentale, in cui le due anime del Faust, la tecnica e la tragica, si sarebbero polarizzate a scapito della seconda, con l’esito di ridurre l’uomo a oggetto e aprire la strada alla violenza, messa poi in atto dai sistemi ideologici (Il tramonto dell’Occidente). Hans Blumenberg aveva utilizzato la metafora del “naufragio” (Naufragio con spettatore) per descrivere la situazione prodotta dalla parabola della modernità, in cui ogni sicurezza sembra perduta e l’uomo è al tempo stesso naufrago e spettatore del suo naufragio. Sygmunt Bauman ha descritto questa condizione come quella di una “modernità liquida”, dove “modelli e configurazioni non sono più dati, e tanto meno assiomatici; ce ne sono semplicemente troppi, in contrasto tra loro e in contraddizione dei rispettivi comandamenti, cosicché ciascuno di essi è stato spogliato di buona parte dei propri poteri di coercizione” (Modernità liquida). Queste interpretazioni – attraverso le metafore del tramonto, del naufragio e della liquidità inafferrabile – vedono la civiltà occidentale e la sua culla, l’Europa, destinate ad un inarrestabile processo di dissolvimento e di declino. In esse, però, il contributo offerto dalla tradizione ebraico-cristiana al formarsi dell’identità europea resta ampiamente in ombra. Anche per questo il magistero pontificio degli ultimi decenni ha insistito sulle “radici cristiane” dell’Europa, senza le quali non sarebbe concepibile né potrebbe sostenersi l’aspirazione a una comune “patria europea”.

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